L’impresa più dura non è
stata pedalare fino in cima al mitico passo di cui parlerò oggi ma raggiungere
da Milano il punto di partenza per il Col de La Madelaine, un piccolo centro
abitato chiamato Pas de Briançon, poco più di quattro case sperdute alle porte
della bassa Tarentaise.
Sveglia alle 4 e mezza
del mattino. Otto faticose ore di viaggio tra andata e ritorno, dopo una sosta
per un appuntamento di lavoro ad Aosta collocato strategicamente quasi
all’alba, alle 8:00, per poi avere il resto della giornata a disposizione.
L’autostrada, il traffico, i lavori in corso; poi i due consecutivi Passi del
Piccolo San Bernardo, lunghi quasi come una vita, uno per venire in Francia,
l’altro per rientrare in Italia. Un’autentica corsa contro il tempo!
Il tratto dal confine
italiano a Bourg-St. Maurice, in particolare, sembra non finire mai, con 30 Km
di estenuante discesa piena di curve. Piuttosto noiosi sono anche i successivi
40 Km necessari per arrivare all’attacco della salita della Madelaine, da
Bourg-St. Maurice sino a Moutiers e quindi a Pas de Calais, che si trova poco
oltre il centro di villeggiatura di La Léchère.
Ma il sacrificio del
viaggio è stato ben ripagato. Sono passate da poco le 11:30 quando finalmente
scarico la bici dall’auto e parto di buona lena. La folla giunta per assistere
al passaggio del Tour 2010 è enorme. Centinaia di persone salgono, a piedi o in
bici, verso il colle: 24 Km assai impegnativi per i ciclisti. Il traffico
veicolare è già stato interrotto sin dal primo mattino.
I primi 5-6 Km della
Madelaine presentano subito un bel biglietto da visita: pendenze sempre
superiori al 9%, con qualche breve tratto all’8%. Si scavalca nel bosco un
primo risalto della montagna, un po’ come nella parte iniziale del Colle delle
Finestre, con una lunga serie di tornanti. Ciò che colpisce è la multi etnicità
dei tifosi che seguono il Tour: danesi, cechi, norvegesi, americani,
neozelandesi, australiani, olandesi, belgi, oltre ai molti francesi e italiani.
Non vado molto forte perché le pendenze subito sostenute mi hanno un po’
intimorito. Non conosco la salita, fa un caldo incredibile e non voglio
arrivare cotto in cima. Lo zaino è pesantissimo: contiene viveri, bevande fredde,
indumenti, una macchina fotografica, una telecamera, attrezzature e ricambi.
Dopo un po’, superato il
villaggio di La Thuile (uno dei tanti con questo nome da queste parti) inizia
un lungo falsopiano. Ad un certo punto mi sorpassano, a piena velocità, due
giovani ragazzini cechi, intorno ai 12-14 anni, forse sono fratelli. E’ un
piacere vedere dei piccoli pedalare già così bene: sembrano due piccoli Schleck
in miniatura. Magri, tirati, eleganti nei movimenti e per nulla intimoriti
dalla lunghezza della salita. Mi accodo a loro, abbandonando ogni proposito di
prudenza, e cominciamo a viaggiare a tutta. La pendenza ritorna intorno al
5-6%: adesso andiamo ai 18-20 Km/h. Mi diverto a vedere che i due ragazzini mi
controllano, parlottano tra loro e sembrano un po’ indispettiti del fatto che
non riescono a staccarmi. Tutti gli altri ciclisti che sorpassiamo, ansimanti e
rossi in volto per la calura tropicale, viaggiano ad un’andatura che è la metà
della nostra.
Ma anch’io, dopo 3-4 Km
a questo ritmo, finisco presto la benzina. Quando, intorno a metà salita, le
pendenze tornano superiori al 9-10% lascio andare i due nuovi futuri fratelli
Schleck per la loro promettente strada e ritorno a più miti consigli
riprendendo un’andatura più consona alle mie attuali condizioni.
Anche salendo ad una
media onesta di 12-13 Km/h, il Col de la Madelaine richiede quasi 2 ore per
essere scalato. Come due anni fa sul Galibier, a circa 6-7 Km dal valico la
strada comincia ad affollarsi di caravan, roulotte ed automobili parcheggiate
su entrambi i lati: evidentemente migliaia di persone sono già salite ieri per
conquistare i posti migliori lungo il percorso. E’ davvero un imponente e
chiassoso accampamento! Improvvisati altoparlanti diffondono musica ad
altissimo volume mentre i barbeçue e le griglie sprigionano odori di cibo
appetitoso al cui confronto il sapore dolciastro della mia barretta di
maltodestrine quasi mi provoca disgusto.
L’anfiteatro degli
ultimi tornanti del Col de La Madelaine è maestoso, con ampi pascoli collocati
ai piedi di picchi dall’aspetto quasi dolomitico. Gli ultimi chilometri sono
particolarmente duri sotto un sole cocente ma ormai il colle è vicino e lo si
può vedere ad occhio nudo. Arrivo al valico dove la folla si accalca dovunque e
si fatica ad avanzare anche solo di pochi centimetri. Ma nonostante il caos,
che impedisce persino di godere il panorama, sono soddisfatto. Con questa
salita, infatti, ho finalmente completato la mia collezione delle più
importanti scalate di Francia: il Galibier, l’Izoard, il Glandon, il Tourmalet,
l’Aubisque, l’Aspin, il Peyresourde, il Ventoux. Cerco un po’ d’ombra e
tranquillità per qualche minuto dietro una roulotte e dopo un breve ristoro
volante decido a malavoglia di scendere più a valle, perché passata la corsa devo
rientrare subito a Milano e non posso correre il rischio di rimanere
imbottigliato nel traffico.
La discesa è filante ma
occorre prestare attenzione ai numerosissimi ciclisti e tifosi che ancora
stanno salendo e che spesso, a causa della fatica, sbandano improvvisamente in
mezzo alla strada o addirittura procedono contromano. Ogni tanto mi fermo a
scattare qualche fotografia panoramica. Sui prati i tifosi hanno adagiato
grandi bandiere americane, norvegesi, lussemburghesi, spagnole… Nei camper
molti stanno già seguendo alla televisione la corsa, che oggi affronta anche i
colli della Colombière, di Aravis e Saisis. Mi pare di capire dai commenti
della gente che Cunego è in fuga. All’improvviso una figura lontana suscita la
mia attenzione: l’ormai famoso personaggio caricaturale travestito da diavolo
che da anni segue immancabilmente tutte le tappe del Giro d’Italia e del Tour
de France è salito teatralmente su una sporgenza rocciosa e tra le ovazioni
della folla si fa immortalare da cineprese e macchine fotografiche mentre agita
il suo tridente scintillante alto nel cielo.
Perdo circa 800 metri di
dislivello e decido di fermarmi ad aspettare la corsa nei pressi del piccolo
villaggio di Celliers, dove numerosi tifosi lussemburghesi e norvegesi hanno
decorato l’asfalto con bandiere e scritte di incitamento multicolori. Mi
associo a loro e ad alcuni simpatici francesi e ci sediamo sul prato mangiando
panini e tortine, mentre tra gli scandinavi la birra, portata sin qui in
piccole botti, corre a fiumi.
Stiamo lì quasi due ore
sotto il sole ad attendere il Tour e finalmente, quando siamo ormai giunti
prossimi alla disidratazione, scocca il momento tanto atteso. Prima arriva la
sgargiante carovana pubblicitaria preceduta da un’auto che reca montata sul
tetto la sagoma di un ciclopico ciclista tutto vestito di giallo. Poi,
preannunciati dall’apparizione di tre elicotteri e dell’aereo del ponte radio
della TV francese, giungono i primi corridori che sono accolti con un boato dai
tifosi. Gli elicotteri scendono bassi sopra di noi occupando ciascuno un
diverso tornante per coprire tutte le fasi della corsa: a questo punto nessuno
saprebbe più dire se il villaggio di Celliers, così stretto d’assedio, si trovi
in Savoia o in Vietnam e il Tour si trasforma per un attimo nel film
“Apocalypse Now!”.
Transitano Cunego e gli
altri fuggitivi. Seguono dopo qualche minuto i migliori: Basso e Armstrong sono
ancora con Schleck e Contador. Verranno però staccati più avanti dopo la
micidiale accelerazione del lussemburghese e dello spagnolo, “tirati”
inizialmente a velocità supersonica dal gregario dell’Astana Navarro. Quindi
passano vari gruppi di corridori attardati, tra cui un rassegnato Cadel Evans
in crisi, mentre le ammiraglie salgono a fatica fendendo la folla. I tifosi
australiani non nascondono la loro delusione per il crollo del loro beniamino:
erano venuti in tanti fin quassù per seguire le sue imprese brandendo molti
canguri gonfiabili di plastica gialli e verdi che ora giacciono abbandonati
tristemente nell’erba.
E’ tempo di ripartire. Inforco la bici e comincio la
discesa ma la Gendarmerie ci ferma perché la corsa non è ancora interamente
passata e ci fa accostare. Alcuni ciclisti quasi fuori tempo massimo,
letteralmente boccheggianti, arrivano sconsolati seguiti dal camion scopa,
passato il quale siamo finalmente lasciati liberi dalla polizia di scendere a
valle per finire però nuovamente prigionieri della micidiale calura di questa
torrida estate.
Marco Fortis