(km 86,7; dislivello complessivo: 1.570 m.;
meteo: giornata soleggiata ma estremamente ventosa con raffiche pericolose;
arrivati nel percorso corto: 762 corridori; arrivati nel percorso lungo: 899
corridori)
Come tutti ben sapete, quest’inverno è stato
davvero complicato per gli stradisti piemontesi. Difficile allenarsi: tanto
maltempo e troppi raffreddori. Però, giusto per un assaggio – ho pensato –
perchè non provare questa GF Città di La Spezia? Un percorso non troppo lungo
(87 km), a me parzialmente già noto, un dislivello complessivo non
inaccessibile (circa 1.600 m) e l’occasione di una breve vacanza con la
famiglia a Portovenere. E poi c’era il precedente dei colleghi Brunetti e Viganò,
che già due anni fa avevano ben difeso i colori della Iride Omegna sulle strade
spezzine. Così, proprio all’ultimo giorno utile, mi sono iscritto via fax.
Dopo un viaggio terribile venerdì 30 marzo,
con la Pinarello sul tetto dell’auto risucchiata nei vortici di una pioggia
sferzante, il giorno dopo ho dovuto lavorare un’ora nel garage dell’albergo per
reingrassare cambio e catena prima di potermi riposare con moglie e figlia e
godere dei bei panorami della grotta di Byron e del castello medioevale a picco
sul mare. La domenica, finalmente, è una giornata bellissima e, per fortuna,
sembra anche scomparso il vento fastidioso che aveva imperversato tutto il
sabato. Il mio numero di pettorale è però altissimo (1830); sono nell’ultima
griglia, dietro di me ci sono solo quelli che si sono iscritti sul posto ieri e
oggi. Alle 9.10 si parte. Passano ben otto minuti dopo il via ufficiale della
corsa prima che noi ultimi si riesca a transitare sotto lo striscione della
partenza. Chissà dove saranno già arrivati i primi a quest’ora... Il percorso
si muove in senso orario verso le Cinque Terre, mentre quello della Gran Fondo
di Deiva Marina dello scorso settembre girava in senso antiorario.
Ho riletto il vecchio giornalino della Iride
ed ho ben in mente la tattica di gara adottata da Brunetti e Viganò due anni
fa: partenza cicloturistica e finale a tutto gas. Io però non me lo posso
permettere, perchè in discesa sono una lumaca. Così appena iniziano le prime
rampe ingrano la quarta. La salita d’avvio – quella della litoranea che sale da
La Spezia fino alla galleria – è lunga 6 km, con un dislivello di 290 m, una
pendenza media del 4,8% e una pendenza massima del 7%. Mantengo la velocità
costantemente sui 20 km/h senza un attimo di respiro, salvo in un paio di
tratti più ripidi. Ciò mi consente di superare uno dopo l’altro ben tre gruppi
distinti di un centinaio di corridori ciascuno e successivamente diversi altri
gruppetti di 20-30 corridori ciascuno. In tutto questo tratto sono superato da
un solo atleta. Arrivo in cima alla salita fresco e contento, mi sento proprio
in giornata. E sono anche tranquillo, perchè cautelativamente ho montato sul
retro della sella un segnalatore luminoso intermittente per essere ben visto
nelle frequenti gallerie e per “proteggermi” le spalle da discesisti troppo
spericolati: forse questo espediente potrà anche far ridere, ma chi si è già
rotto un braccio cadendo per colpa altrui dalla bici come me, poi le studia
tutte per ridurre i rischi.
Purtroppo, all’uscita dalla galleria della
Litoranea scopro amaramente che si è alzato un vento fortissimo sulla costa
delle Cinque Terre e la discesa a capofitto su Riomaggiore diventa per me
subito un calvario: le raffiche fanno vibrare minacciosamente la bicicletta,
non riesco mai a superare i 35 km/h e freno persino nelle mezze curve, mentre
cominciano a superarmi decine di corridori. Chissà come fanno ad andar giù così
veloci… Finalmente la discesa giunge al termine. Si ricomincia a salire e ci
imbattiamo subito in un bel muro al 12% di pendenza. “Bella la tripla!”, mi
dice un simpatico ciclista con la lingua a penzoloni. Gli rispondo con un
sorriso. “Sì”, penso tra me. “Ma bisogna anche saperla usare…”. Tengo
stabilmente e con umiltà uno strategico 30-21 e riesco a salire comodo a 11-13
km/h, zigzagando tra ciclisti estenuati che si ostinano a montare rapporti da
“professionisti”. Ricomincio a sorpassare molti di coloro che mi avevano
superato in discesa, tra cui anche un corridore aronese con la sua maglia rossa
e blù sponsorizzata Tartaggia. Scoprirò alla fine che è un certo Bruno Ferrari
(categoria veterani1), che aveva partecipato nel 2000 alla Caltignaga-Quarna,
la mia migliore gara dell’anno scorso. Questo via vai di sorpassi e risorpassi
sarà il leit motiv di tutta la prima parte della mia gara, come di
consueto. Purtroppo non diventerò mai un discesista e molto del fieno che metto
in cascina nelle salite continuerò a perderlo inevitabilmente in discesa. Ma è
inutile recriminare. Arrivato finalmente in cima alla salita della Volastra che
porta a San Bernardino (370 m di dislivello in 5 km, pendenza media del 7,4%),
faccio un primo bilancio della gara: non mi sembra di andar tanto male. E’
certo però che questa salita di San Bernardino (che nel settembre scorso avevo
percorso in discesa in senso opposto) in alcuni punti è davvero ripida, rompe
il ritmo. Ma quello che più mi infastidisce è il percorso sinuoso in moderata
pendenza che successivamente porta al Passo del Termine (circa 3 km con un
dislivello di 80 m, una pendenza media del 2,9%). La strada corre a precipizio
sul mare e le raffiche di vento continuano ad imperversare. L’asfalto è spesso
ricoperto di ghiaietta e sabbia che sembrano far paura solo a me: così freno
anche nei falsopiani e ad ogni curva. Decine di corridori mi raggiungono nuovamente,
tra cui anche il solito aronese. Tutto ciò è abbastanza frustrante… L’unica
gioia è guardare giù lo splendido panorama di Monterosso nei punti del percorso
meno rischiosi. A ciò si aggiunge la pena della lunga discesa verso Levanto,
con curve pericolosissime e frequenti cadute: poco prima del mio passaggio un
ciclista esce di strada e finisce in un torrentello. Ormai non conto nemmeno
più tutti quelli che mi superano.
Dopo Levanto la strada riprende a salire
(salita di Montale). Si tratta di un nuovo tratto di percorso inserito dagli
organizzatori a partire dal 1999 (5 km, dislivello 290 m, pendenza media del
5,4%). E’ l’occasione buona per recuperare un po’. Tengo un bel 40-21/23/26 a
seconda delle pendenze e riprendo diverse decine di corridori, tra cui
l’immancabile aronese. Il percorso lungo e quello corto a questo punto si
separano. Giungo solo in vetta e imbocco la lunga galleria (buia e piena di
buchi). Sto per un po’ con un gruppetto che raggiungo di slancio, poi accelero
e li distacco. Ma a loro volta mi sorpassano subito nella discesa tormentata
dalle raffiche di vento che dal mare si spinge verso l’entroterra. Cerco però
di non perdere di vista i fuggitivi e prima della salita del Bracchetto li ho
quasi ripresi. Reinnesto la quarta. Supero di nuovo il piccolo gruppetto e poi
diversi altri corridori isolati, lasciandomeli notevolmente alle spalle. Quando
arrivo allo scollinamento posso persino permettermi il lusso di una piccola
sosta solitaria al rifornimento. Riparto e sulla discesa un po’ alla volta mi
risorpassano alcuni volti ormai noti fino alla noia tra cui anche quello
dell’aronese Ferrari, che mi incoraggia a modo suo: “Dai che il più è fatto!”.
E fila via come un fulmine a 50 all’ora lasciandomi lì come un salame… La cosa
proprio non mi va giù. Forse sarà anche per colpa della maglia rossa del GC
Aronese, ma improvvisamente mi sento caricato come un toro e, approfittando del
fatto che il vento è un po’ calato, comincio a spingere sui pedali persino in
discesa. Vedo davanti a me ad un centinaio di metri di distanza il conterraneo
aronese, che ha raggiunto un gruppetto di una ventina di corridori, e lo
sistemo nel mio mirino. Pedalo ad oltre 40 km/h sui rettilinei e a Borghetto
finalmente li raggiungo. A questo punto proseguiamo insieme; per un po’ il
lavoro di squadra funziona egregiamente, con cambi regolari, filando sempre sui
35-38 km/h. Raggiungiamo tanti corridori isolati ed altri gruppetti. Così a
poco a poco il nostro gruppo si fa numeroso: saremo ormai in una cinquantina.
La velocità però cala troppo per i miei gusti, complice anche un manto stradale
che sembra un groviera. Ora che le discese pericolose sono finite scalpito e
ritrovo il gusto della velocità. Mi ricordo con precisione questi luoghi, che
nel settembre 2000 ho percorso in senso contrario. Mi rammento anche che tra
breve la strada riprenderà a salire e gioco in contropiede. Decido di andarmene
già in pianura ed accelero a 40 km/h all’inseguimento di un mastodontico
ciclista (il suo manubrio arriva quasi all’altezza della mia testa) che aveva
lasciato il gruppo poco prima di me. Nessuno ci insegue. Anche l’aronese
Ferrari, ormai, non lo vedrò più se non dopo il traguardo. Tengo bene sulle
pendenze moderate che precedono l’ultima salita, quella di Viseggi, ed distacco
anche il gigantesco compagno di fuga: mi compiaccio di andare sulle salite
pedalabili ancora alla bella velocità di 20 km/h, come all’inizio della corsa.
Supero tre o quattro concorrenti isolati sulle ultime rampe più ripide
affrontate a 12-14 km/h e poi mi butto a capofitto verso La Spezia.
Finalmente! Queste sono le discese che
piacciono a me! Tornanti ogni cento metri, discese democratiche dove anche i
più spericolati non possono prendere troppa velocità e curvare a più di 10-15
km all’ora. Solo un paio di corridori mi sorpassano prima dell’imbocco del
lungomare ed arrivo finalmente al traguardo con un bello sprint solitario.
Anch’io, come Brunetti e Viganò due anni fa, assaporo il piacere di concludere
il percorso corto della Gran Fondo qualche minuto prima del vincitore del
percorso lungo: oggi il leader assoluto è Tiziano Benedetti (il vincitore della
Briga Novarese-Mottarone dello scorso anno: proprio lui, forse la mia presenza
gli porta fortuna!). Benedetti, della Galmod Biciclette, ha pedalato i 123 km del
percorso lungo (2.400 m di dislivello) all’incredibile media di 38,7 km/h,
precedendo Andrea Paluan della Mobili Nota e Davide Montanari della Nuova
Corti.
Raggiungo lo stand dell’organizzazione dove
sono appese le prime classifiche provvisorie e mi rendo conto che prima di me
sono arrivati almeno già 300 corridori e una trentina di veterani2, la mia
categoria. Il mio nome ancora non c’è. “Però, credevo di essere andato meglio –
penso tra me – ma forse la classifica completa mi renderà più giustizia”. Attendo
invano per quasi un’ora l’arrivo dei nuovi dati, poi mi stufo e me ne torno a
Portovenere. Questi campioni tecnologici della Winning Time non sono poi così
efficienti. La Speed Pass Pretelli l’anno scorso dopo pochi minuti già
consegnava il diploma personale della corsa con tempo e posizione…
Mi consolo con una bella mangiata di pesce
con la famiglia: una cena pantagruelica. Poi il giorno dopo si torna a casa.
Prima di lasciare La Spezia, però, ripasso al Centro Allende, ormai deserto,
dove sono malinconicamente appesi i fogli svolazzanti delle classifiche. Leggo:
“Classifica definitiva del percorso corto”. Cerco il mio nome: sono 452°
assoluto su 560 corridori, 38° veterani2 su 47 arrivati, in 3 ore 22 minuti e
22 secondi, media 25,8 km/h. “Mamma mia, che crollo rispetto all’anno scorso!
L’inverno mi ha proprio intorpidito”. Rimugino su questa caduta di forma per
tutto il viaggio di ritorno mentre Flavia e Giulia dormono beate sul sedile
posteriore dell’auto. “Eppure la media oraria non era poi così brutta.
D’accordo, in partenza l’alto pettorale mi aveva penalizzato di un bel po’ di
minuti. Infatti, il mio contachilometri segnava all’arrivo un tempo totale di 3
ore e 15 minuti (e non 3 ore e 22 primi come indicato dalla classifica
ufficiale), ma questo non basta per spiegare un posizionamento così modesto.
Forse grazie al clima più mite i ciclisti liguri e toscani a questo punto della
stagione sono molto più allenati di noi piemontesi o forse le gare da noi sono
meno dure. Chissà…
Ma non mi dò per vinto. Così il martedì
mattina, prima di ritornare al lavoro a Milano, mi alzo alle 6.30 e dopo una
veloce colazione punto deciso con la mia bici in direzione della Colma. Imbocco
la salita di Brolo a 24 km/h e tiro rabbiosamente fino all’attacco di Arola con
ritmo forsennato. Supero il muro che precede la curva del ristorante “La Zucca”
a 12 km/h e, nonostante l’acido lattico della gara di due giorni fa ancora
nelle gambe, arrivo alla Colma lanciatissimo in poco meno di 49 minuti: il mio
quarto miglior tempo di sempre, il migliore di quest’anno. “Dunque non sono poi
così tanto scaduto di livello!”.
Arrivo a Milano, accendo il computer
dell’ufficio, mi collego via Internet e capisco tutto. La classifica finale
della Winning Time che avevo letto sui fogli abbandonati della bacheca di La
Spezia non era quella completa (d’altronde l’altroieri era o non era il pesce
d’aprile?). Nel percorso corto dietro di me sono in realtà arrivati la bellezza
di altri 310 corridori e i numeri finali mi danno 37° veterani2 su 78 arrivati.
Dunque, una gara non ingloriosa per essere all’inizio di stagione. “Mi pareva
bene che in discesa non mi avevano raggiunto tutti quelli che avevo sorpassato
in salita…”.
Marco Fortis