Questo è il resoconto di una gita
programmata da tempo e studiata sin nei minimi particolari a cui tenevo molto. Partenza
con la famiglia il 14 luglio alla volta Pirenei. Due giorni di sosta rilassante
nella città fortificata di Carcassonne per spezzare l’interminabile viaggio in
auto dall’Italia. Poi la sera del 16 luglio, dopo una visita nel pomeriggio a
Lourdes, finalmente arriviamo ad Arras en Lavedan, piccolo borgo ai piedi del
Col du Soulor.
Purtroppo il clima si guasta improvvisamente;
la grande afa si trasforma in nuvoloni neri e nella notte piove e grandina con
violenza. L’indomani è venerdì 17: una data che è tutto un programma e, non
poteva essere altrimenti, i piani saltano del tutto. Soltanto una breve
schiarita verso mezzogiorno, il tempo di vedere allo zoo di Argelès-Gazost un
po’ di marmotte e di orsi bruni dei Pirenei insieme alla piccola Giulia, poi
ricomincia a piovere e va avanti a dirotto fino a sera (e sarà così di nuovo
tutta la notte). Saliamo in auto fino al Col du Soulor in mezzo ad una tempesta
di pioggia, tanto per passare il tempo. Giulia si mangia una crèpe alla Nutella
al rifugio, mentre io guardo tristemente alla TV un po’ della tappa del Tour e
spiego all’oste chi è Nocentini, che in questi giorni veste la maglia gialla. A
cena non resta che dimenticare, davanti ad una bottiglia di buon vino nella
nostra accogliente pensione famigliare, la brutta giornata di maltempo insieme
ad alcuni altri ospiti olandesi e francesi.
Doveva essere il primo giorno di
pedalate. Erano in programma il Col du Soulor e il Col d’Aubisque da
Argèles-Gazost il mattino ed il Col du Tourmalet da Luz-St-Saveur il
pomeriggio. Invece tutto da rifare…
Il Col du Soulor (1.474 m.) e il Col d’Aubisque (1.709 m.)
Il 18 luglio mattina all’alba
sono già in piedi. Ma piove ancora. Appena smette un po’ mi decido: carico
nervosamente la bici sull’auto e risalgo fino al Col du Soulor. Il clima sembra
migliorare e in lontananza si intravede qualche schiarita. Mi preparo e verso
le otto del mattino lascio l’auto ed il Col du Soulor in direzione del Col
d’Aubisque sulla mia nuova Colnago EPS bianca. Fa un freddo cane: zero gradi.
Per fortuna mi ero portato un giubbotto pesante. Durante la notte è nevicato
fino a 2.200 metri circa e le cime sopra di me sono infarinate di bianco.
Dapprima si scende per un paio di
chilometri perdendo circa 150-200 metri di dislivello, poi la strada prosegue
in falsopiano per altri 3-4 chilometri superando un paio di brevi e buie
gallerie da cui cadono copiosi scrosci d’acqua. La strada è parecchio
dissestata e cosparsa di pietrisco portato a valle dalle forti piogge. Proseguo
pedalando di buona lena ma ad un certo punto devo attraversare una fattoria con
un allevamento di vacche e pecore presidiato da un nutrito gruppo di cani
pastore dei Pirenei. All’inizio tutto sembra andare bene, ma poi due cani
piccoli come batuffoli cominciano ad abbaiare e ad inseguirmi. Ad essi si
unisce subito la madre che minaccia pericolosamente coi suoi denti
affilatissimi i miei polpacci. Sono 100 metri terribili che pedalo con i
brividi lungo la schiena mentre anche altri cani della fattoria cominciano a
corrermi dietro e ad abbaiare. Perfido Col d’Aubisque – penso - manca solo che
spunti anche un orso bruno da dietro la curva.
Finalmente i cani sembrano
calmarsi. Tiro un sospiro di sollievo. La strada comincia a salire e percorro
per alcune centinaia di metri un tratto molto malandato e ricoperto di terriccio
con grandi pozzanghere. Avevo appena ripreso un po’ di entusiasmo e di ritmo di
pedalata quando improvvisamente odo un sibilo. Ho forato. Era da più di cinque
anni che non mi capitava; doveva succedere proprio qui in questo vallone
solitario!
Fatico un po’ a togliere la ruota
posteriore e a ripararla. Passa quasi mezz’ora. La camera d’aria presenta un
bel buco causato certamente da una piccola pietra acuminata. Riprendo a
pedalare ma, fatti pochi chilometri, appare all’orizzonte una seconda fattoria
con altri minacciosi cani pastore bianchi sdraiati sulla strada. Mi fermo alquanto
pensieroso. Non mi va proprio di farmi azzannare. Approfitto della prima auto
che, per un colpo di fortuna, verso le nove scende lentamente dal Col
d’Aubisque e faccio dietro front seguendola in discesa. Uso come scudo il
veicolo, che percorre la strada a precipizio con estrema cautela, e supero la prima
fattoria dove questa volta i cani non mi attaccano. Poi risalgo verso il Col du
Soulor a tutta velocità in netto ritardo sui tempi che mi ero prefissato.
Ricarico la bici in auto e riparto per il Col d’Aubisque: obiettivo oltrepassare
in macchina incolume le fattorie con i terribili cani bianchi. A circa 4
chilometri dal Colle parcheggio l’auto, riprendo la bici e finalmente pedalo
senza rischi, sia pure con un manto stradale molto rovinato, fino allo
scollinamento. Il tempo di fare due foto al passo e al rifugio ed è già ora di
tornare a valle perché dobbiamo lasciare l’albergo entro le undici del mattino.
Non sono per nulla contento. La mia “Route de Cols” pirenaica, dal Col
d’Aubisque al Col de Peyresourde me l’ero immaginata proprio diversa. Il Soulor
e l’Aubisque li ho fatti, sì, ma un po’alla Fantozzi e con un sacco di imprevisti
ed interruzioni che mi hanno fatto perdere l’ispirazione che cercavo…
Recuperata la famiglia in albergo
e caricati alla rinfusa i bagagli partiamo in auto in direzione Luz-St-Saveur,
dopo aver comprato anche una nuova camera d’aria di scorta ad Argèlet-Gazost. Il
tempo sta notevolmente migliorando ed a poco a poco il cielo si rasserena
completamente. Arrivati all’attacco del Tourmalet scarico la bici e parto,
finalmente tranquillo, alla volta del leggendario passo. Questa volta non
dovrebbero esserci problemi, almeno lo spero. La famiglia si ferma in città per
un po’ a fare qualche acquisto. In seguito mi raggiungerà sul colle.
Da Luz-St-Saveur al Col du
Tourmalet la strada è lunga circa 18 chilometri ed arriva ai 2.115 metri
d’altezza. I primi chilometri fino a Barèges sono molto pedalabili e scarico
finalmente tutta la voglia di correre accumulata in questi giorni. A Barèges,
dato che ormai è l’una passata, mi fermo in una panetteria e compro una
baguette. Ne mangio metà per non restare senza energie e la parte rimanente la
fisso di sbieco all’elastico della borsa portaoggetti. La salita ora si fa più
dura già all’uscita del paese e la pendenza supera il 10%. Vengo raggiunto da
Flavia e Giulia in auto che proseguono salutandomi. Le ritrovo qualche
chilometro più avanti, presso il curvone del giardino botanico. Mi fanno alcune
riprese con la videocamera, poi ripartono.
Gli ultimi 5-6 chilometri del
Tourmalet sono impegnativi ma non sento la fatica. La giornata è diventata
splendida ed il panorama è veramente fantastico, con vertiginosi precipizi sul
fondovalle. Vengo raggiunto da un giovane ciclista spagnolo seguito in auto dal
suo allenatore che gli urla dal finestrino parole terribili per farlo andare
più veloce. Per quasi un chilometro resisto alle sue calcagna guadagnandomi
l’ammirazione del suo coach. Infatti, stiamo pedalando ad oltre 17 Km/h su una
pendenza sicuramente superiore al 9%. Poi rallento e proseguo cercando di
recuperare le energie spese in quella follia. La salita è ancora lunga. Gli
ultimi tornanti si impennano oltre il 10%. Ci sono persino dei lama sulla
strada e nei prati intorno a pascolare: un tocco davvero peruviano.
Il colle è ormai vicino e lo
raggiungo rapidamente festeggiato da Giulia che mi corre incontro felice. La
foto sotto la statua del grande ciclista in metallo (“le geant de la route”) e
il busto di Jacques Goddet, mitico direttore della Grande Boucle, è d’obbligo.
Poi al ristorante posto proprio sul passo mangio con voracità un meritato panino
e un paio di crèpes. I brutti ricordi del mattino presto dei cani rabbiosi dell’Aubisque
sono ormai dimenticati. Il Tourmalet resterà invece per sempre nella mia
memoria come una salita gioiosa, difficile ma non faticosa, simile nel
paesaggio, per molti aspetti, al Nufenenpass.
Caricata la bici in auto, parto
con la famiglia alla volta della nostra prossima nuova tappa: Arreau. Per
giungere a questo piccolo villaggio strategico, posto ai piedi del Col d’Aspin
e del Col du Peyresourde, occorre scendere il Tourmalet dal versante
dell’orribile stazione sciistica di La Mongie, un vero mare di cemento, sino al
mitico borgo di Ste-Marie-de-Campan, divenuto famoso perché qui in occasione
del Tour de France del 1913 il ciclista Eugène Christophe dovette riparare da
solo, per non essere squalificato dalla giuria, la forcella rotta della sua
bici presso l’officina di un fabbro. Da Ste-Marie-de-Campan, poi, risaliamo in
auto il Col d’Aspin per scendere infine ad Arreau dove albergheremo in un
piccolo Logis de France.
Col du Tourmalet a parte, i colli
pirenaici non sono molto alti e non devono preoccupare un ciclista minimamente
allenato che si rispetti. Un tempo, quando questi passi non erano asfaltati,
dovevano essere invece davvero terribili, specie se affrontati in successione 3
o 4 alla volta. Oggi è soprattutto il gran caldo che può far soffrire i
ciclisti, specie nelle ore centrali della giornata.
Il 19 mattina lascio l’Hotel
d’Angleterre di Arreau mentre Flavia e Giulia ancora dormono. Alle otto attacco
il Col d’Aspin alla garibaldina. Sono 13 chilometri con pendenze che in alcuni
punti superano il 9,5%. In meno di cinquanta minuti arrivo in cima, senza
nemmeno impegnarmi troppo. Volo ancora sull’entusiasmo della bella pedalata di ieri
sul Tourmalet. L’Aspin, al confronto, è roba da ridere.
Sul Colle però il panorama è non
meno fantastico e verso Ovest si vede il Col du Tourmalet in lontananza
dominato dal Pic du Midi de Bigorre con il suo osservatorio astronomico. I
prati sono verdissimi e pieni di mucche bianche e marroni, tanto belle quanto
pulite al punto che le si potrebbe tenere in casa come animali domestici.
Scatto molte foto, poi scendo a precipizio disegnando belle traiettorie sui
facili tornanti per raggiungere la famiglia in albergo. Oggi ad Arreau il paese
festeggia il gateaux à la broche: un dolce a base di uova, farina, burro e
grand marnier che viene abbrustolito su uno spiedo girevole posto sopra la
brace di frasche d’abete. Il dolce più grande, lungo oltre 2 metri, viene
cucinato sulla piazza del paese e richiede per la sua preparazione ben 750
uova.
Nel pomeriggio, dopo i
festeggiamenti ed un rinfrescante bagno in piscina, parto di nuovo in bici
sotto un sole tropicale alla volta del Col du Peyresourde. Da Arreau sono circa
20 chilometri: i primi 10 di falsopiano e leggera salita fino a Avajan, lungo i
quali la mia Colnago sembra volare, poi di impegnativa arrampicata con pendenze
che spesso superano il 9% e rari tratti nel bosco. Si è quasi sempre esposti al
caldo sole dei Pirenei che ti lavora lentamente ai fianchi e ti disidrata. Bevo
perciò molto e frequentemente. Tengo un’andatura spedita fino a 2 chilometri
dal colle, poi cedo schiantato dal caldo e mi accontento di scollinare ad
andatura turistica. Per oggi il mio dovere l’ho fatto. Ed ho concluso la mia
tanto sognata “Route des Cols” pirenaica, sia pure con qualche disavventura
all’inizio ed il dispiacere di non aver salito dal fondovalle il Col du Soulor
ma di averlo solo oltrepassato rientrando dal Col d’Aubisque.
Il Col du Peyresourde, a quota
1.569 metri, è molto panoramico. Sul versante opposto si scende a
Bagnères-de-Luchon. Dopo aver mangiato due crèpes al rifugio scendo verso valle
ripensando a tutti questi mitici valichi che hanno fatto la storia del Tour de
France e del ciclismo. Rientro ad Arreau a velocità supersonica molto
soddisfatto di questa bella trasferta pirenaica, già rivolto col pensiero ai
prossimi ozi di Avignone dove albergheremo domani prima di rientrare
definitivamente in Italia.
Marco Fortis