Il made in Italy conquista il Ventoux
Spesso gli italiani riscoprono il loro sentimento di identità nazionale in occasione di importanti vittorie sportive.
Basti pensare alle straordinarie emozioni collettive suscitate dai nostri
successi del 1982 e del 2006 nei mondiali di calcio o da quelli della Ferrari
in Formula uno. Ma anche ai trionfi della “valanga azzurra” nello sci, di
Valentino Rossi nel motociclismo o di Federica Pellegrini nel nuoto, sino alle
grandi imprese nel ciclismo, come quando Marco Pantani ha vinto nello stesso
anno il Giro d’Italia e il Tour de France nel 1998 o Paolo Bettini conquistò
l’oro su strada alle Olimpiadi di Atene del 2004.Spesso gli italiani riscoprono il loro sentimento di identità nazionale in occasione di importanti vittorie sportive.
Nel 2006 anche a chi scrive è
capitato di provare l’emozione e l’orgoglio di sentirsi profondamente italiano,
per di più in terra straniera, grazie a vicende legate allo sport (ma non solo).
L’8 luglio avevo raggiunto con la famiglia la Provenza e avevo preso alloggio
in un piccolo albergo nella ridente cittadina di Sault, circondata da
coloratissimi campi di lavanda. L’indomani mi attendeva un’impresa importante
come cicloamatore: la scalata tre volte nello stesso giorno del Mont Ventoux,
da altrettanti versanti diversi. Questo famoso brevetto, gestito con grande
passione da Christian Pic, è denominato “i forzati del Mont Ventoux” (www.clubcinglesventoux.org/). Prevede
la triplice ascensione in bicicletta, su strada asfaltata, della famosa vetta
francese più volte raggiunta dal Tour de France, con partenze da Sault, Bédoin
e Malaucène, per complessivi 4.443 metri di dislivello e circa 140 Km di
percorso, tra salite e discese. Per la verità esiste anche un brevetto dei
“galeotti del Mont Ventoux”, che oltre alle tre salite citate ne prevede anche una
quarta, da effettuarsi sempre nella stessa giornata ma con la mountain bike risalendo
una strada forestale, nel qual caso il dislivello totale si eleva a ben 6.052
metri.
Il Mont Ventoux, spazzato da
venti fortissimi, fino a 1.500 metri è ricoperto da una lussureggiante
vegetazione mediterranea, poi diventa totalmente deserto e sulla sua cima
spicca la sagoma gigantesca della famosa torre-osservatorio visibile sin da
decine di chilometri di distanza. I due brevetti del Mont Ventoux sono stati fino
ad oggi conseguiti da 3.546 ciclisti di tutto il mondo, tra cui figurano 219 cicloamatori
italiani.
Il 9 luglio è il gran giorno. Mi
sveglio di buon’ora per partire alla volta del “gigante della Provenza”. Potrò
così festeggiare i miei 50 anni da poco compiuti in modo degno ma anche consono
all’età, senza fretta e particolari pressioni agonistiche, visto che ormai non
gareggio più a buon livello da parecchio tempo e sono poco allenato. Mi
conforta comunque il fatto che la settimana prima sono riuscito a concludere la
Granfondo Fausto Coppi di Cuneo in meno di dieci ore senza un’adeguata
preparazione. Dunque un po’ di fondo ce l’ho ancora. Mi spaventa soltanto il
vento, che è spesso fortissimo in altitudine, nei pressi del Col de Tempêtes.
Con spirito garibaldino comincio
la prima salita alle sei del mattino. Il versante da Sault è il meno impegnativo
dei tre. Presenta un dislivello di “soli” 1.180 metri ed il percorso è lungo
circa 26 Km. Lasciati i campi di lavanda punteggiati di viola, prima di entrare
nel bosco ho un inaspettato e gradito incontro con tre caprioli che in una
valletta laterale alla strada percorrono, spaventati, un buon chilometro
correndomi a fianco. C’è un sole splendido. L’ascensione è agevole fino a che
non sbocca a Chalet Reynard. Da qui per arrivare alla vetta bisogna percorrere
ancora circa 6 Km e mezzo: è la parte più dura, con una pendenza che non scende
mai sotto il 7,5% e tocca per lunghi tratti il 9-10%. Fortunatamente oggi c’è
poco vento.
Arrivato in cima, timbro il mio
cartellino e scendo immediatamente a Bédoin, che si sta appena svegliando. La
cittadina però già pullula di cicloamatori delle più diverse nazionalità giunti
da ogni parte del mondo per scalare il Mont Ventoux. Timbro la carta di viaggio
presso il negozio di un ciclista che ha appena alzato le saracinesche e
noleggia biciclette e attrezzature di ogni genere. Quella da Bédoin è
l’ascensione più impegnativa ed è il percorso classico del Tour de France: 21,5
Km e un dislivello di 1.610 metri. Dopo la curva di Saint-Estève, la strada si
inerpica nel bosco di cedri e pini marittimi per ben 9 Km con una pendenza
media del 9,5% che non lascia respiro fino a quando non si raggiungono gli
ultimi 6 Km e mezzo, che sono gli stessi più ostici della prima salita ma che a
questo punto sembrano quasi facili.
Arrivato per la seconda volta in
vetta mi fermo per una mezz’ora a guardare il panorama, grandioso sul
fondovalle; mangio qualche panino e bevo in abbondanza. Nel frattempo molti
ciclisti francesi, ma anche belgi, americani ed olandesi si sono avvicinati per
ammirare la mia fiammante bicicletta Colnago C50 montata con un gruppo
Campagnolo Record: due miti del “made in Italy”. La loro ammirazione aumenta
quando spiego che sto effettuando il brevetto della triplice salita nello
stesso giorno mentre essi sono saliti sul monte una sola volta e appaiono piuttosto
provati. L’economista prevale per qualche minuto sul ciclista e spiego alla
piccola folla che si è riunita intorno a me, con un certo orgoglio, che il “made
in Italy” è fatto di innovazione continua e di innumerevoli leadership di
nicchia. Colnago è il massimo dei telai da corsa (nel 2011 la casa lombarda ha
lanciato la sua ultima creazione, la strepitosa C59) mentre in un decennio la
vicentina Campagnolo, grazie al carbonio ed innovazioni continue, ha ridotto il
peso degli accessori di una bici da corsa di oltre 1 Kg (considerando insieme
ruote, freni, pedivelle, corone, pignoni e cambio).
Gli italiani, come cicloamatori,
sono famosi in tutto il mondo. Non soltanto perché possiedono le bici più belle
ma anche perché sono numerosissimi ed affollano le più impegnative corse
amatoriali come la Maratona delle Dolomiti, la Nove Colli di Cesenatico, la
Marmotte in Francia o la Oetztaler Marathon in Austria. Una nazione che ha così
tanti cicloamatori e gente disposta a far fatica sulle due ruote non può che
essere un Paese di grandi lavoratori e di gente di successo.
La terza salita, quella da
Malaucène, mi sembra la più dura, forse perché è l’ultima e la effettuo tutta
sotto un sole cocente. Presenta un dislivello di 1.570 metri ed è lunga 21 Km, quattro
dei quali hanno oltre il 9,5% di pendenza media con punte superiori al 10-11%.
Rispetto all’affollato e cosmopolita percorso da Bédoin su questo versante
incontro solo alcuni isolati ciclisti locali che scendono a valle. Non c’è
acqua da nessuna parte. Sorseggio con prudenza i pochi liquidi rimasti nella
borraccia. Poco dopo le due del pomeriggio sono finalmente in cima per la terza
volta: eccomi diventato “forzato” del Mont Ventoux (con il numero di
omologazione 1.646)!
Ma la giornata non è ancora
finita. A sera nella piazzetta di Sault tutti i bar e i ristoranti hanno i
televisori accesi: sta per cominciare la finale del Campionato del mondo di
calcio allo Stadio Olimpico di Berlino tra Italia e Francia. Ceniamo in un
ristorantino all’aperto con gli occhi fissi sul maxischermo di un bar vicino. Io
e i miei famigliari siamo tra i pochi italiani presenti nella cittadina francese
e quando l’Italia va sotto di un goal, tutta Sault sembra venirci addosso con
un urlo gigantesco. Ma poi pareggiamo, Zidane viene espulso e vinciamo anche ai
rigori vendicando gli Europei del 2000.
In questo particolare momento in
cui ciclismo e calcio sembrano fondersi in un tutt’uno nella mia personale esperienza,
mi tornano inevitabilmente alla memoria i versi della canzone di Paolo Conte
dedicata a Bartali, con i “francesi che s’inca…no”. I cittadini di Sault sono
ammutoliti e nel dopo partita qualcuno particolarmente rassegnato viene persino
ad ammirare la mia Colnago e mi chiede di poter accarezzare la sua vernice
setosa mentre carico in auto i bagagli. Con malcelata soddisfazione spiego
anche a loro le ragioni dell’eccellenza del “made in Italy”. Che straordinario
giorno è stato il 9 luglio 2006!
L’indomani, dopo aver acquistato
una copia ricordo di un quotidiano locale con una gigantesca foto di Zidane in
lacrime a tutta pagina, ripartiamo verso Gap e Briançon con la piacevole
sensazione che danno le gambe un po’ stanche dopo aver fatto del sano ciclismo
e con la convinzione che essere italiani a volte è un godimento superlativo.
Marco Fortis