IL MITO DEL FAUNIERA Km. 200, dislivello 4.500 metri
La vigilia è tranquilla.
Arrivo a Cuneo sabato 1°
luglio verso le 16:00 dopo più di tre ore d’auto. Il caldo è afoso, il clima
tropicale. L’albergo si affaccia direttamente sulla piazza Garibaldi, dove c’è
il ritiro dei pacchi gara.
La maglia, che è obbligatorio indossare in gara,
quest’anno è celeste. Vado a cenare in una trattoria del centro con una
lussuosa enoteca: mi rallegra una bottiglia di Barbera di Vietti mentre guardo
la partita dei mondiali Francia-Brasile sul televisore del ristorante. Commento
con il gestore: “Speriamo che vinca la Francia, così ci giochiamo la finale con
loro e ci prendiamo la rivincita”. Sono stato profetico.
Partenza della corsa
alle 7:00 di domenica 2 luglio da Piazza Garibaldi. La giornata è bella. I
ciclisti al via sono circa un migliaio, anche se più della metà faranno il
percorso corto (che peraltro non è una passeggiata, prevedendo il duro colle di
Sampeyre e un dislivello complessivo di 2.650 metri). Il gruppo si snoda a
fisarmonica prima sul pavé del centro, poi tra le rotonde della periferia con
pericolose frenate e ripartenze.
La prima salita arriva
dopo una trentina di chilometri: è il Colle di Montemale, che “strappa” subito
e tocca una pendenza massima del 14% proprio in vista dello scollinamento. E’
una ascesa di 4,2 Km da prendere con le molle, che rappresenta un buon
antipasto di ciò che verrà. Mi viene in mente il consiglio degli organizzatori
della corsa riportato sul sito Internet: “Risparmiate le gambe, sono gli unici
pistoni che avete…”. In discesa sono prudentissimo e come al solito resto da
solo. Da Dronero in poi “tiro” per un po’ ad oltre 40 Km/h una ragazza rimasta
anch’essa staccata, fino a che ci raggiungono altri corridori e ci compattiamo.
Il gruppo si è ormai spezzettato in vari tronconi. Io sono ora con una ventina
di ciclisti dall’aspetto piuttosto combattivo. Dietro di noi molti altri
gruppetti inseguono più lontani.
La Colletta di Rossana è
la seconda salita della giornata, di poco meno di 3 Km. La affrontiamo in
velocità. Non è dura come la precedente e scolliniamo in un attimo. La discesa
è velocissima. Comincia la lunga fase di avvicinamento alla città di Sampeyre,
da dove poi prenderà il via la vera e propria ascesa al colle omonimo. Per
intanto “godiamoci” questi circa 30 Km in cui si sale gradatamente dalla
rotonda di Piasco alla cittadina di Sampeyre coprendo quasi 500 metri di
dislivello. In gare interminabili di questo tipo ci vuole pazienza ed
all’inizio è inutile strafare, anche perché il difficile deve ancora venire. La
pendenza media è bassa e saliamo in questo tratto di falsopiano superando
spesso i 35 Km/h. Si è formato a poco a poco un bel gruppo di una settantina di
corridori.
Arrivati a Sampeyre, mi
fermo ad una fontana assieme ad altri ciclisti per riempire le borracce, ma ci
accorgiamo che l’acqua non è potabile. Devo perciò ripartire e sostare
nuovamente più avanti presso un ristoro volante. Poi la salita comincia subito
implacabile entrando nel bosco con lunghi tratti superiori al 10%. Il
dislivello complessivo fino al Colle di Sampeyre da questo punto in poi è di
altri 1.311 metri con tratti di pendenza massima al 13% ed una lunghezza totale
di 16,3 Km. Questa salita mi ricorda per alcuni aspetti il Col de Télégraphe
(che ho fatto alla Marmotte dello scorso anno) e per altri aspetti il Passo
Giovo (che ho fatto alla Oetztaler Radmarathon del 2004). La strada militare
con caratteristici parapetti sale arcigna ed una volta uscita dal bosco si
snoda tra ampi pascoli pieni di mucche. I ciclisti salgono grondanti di sudore
avvolti da nuvole di mosche fastidiose. Si passa sull’altro versante della
montagna, dove alcuni lunghi tratti separati da tornanti ci fanno guadagnare
velocemente decine di metri di altitudine. Mi torna alla mente un altro
commento del sito Internet della Fausto Coppi: “questa salita è come un pugile
che ti stronca col lavoro ai fianchi”.
Ad un certo punto una
curva ci porta in cresta dove però ci attende ancora un lungo semicerchio
panoramico di oltre 1 Km e mezzo prima di arrivare al passo. Il sole splende e
il panorama è selvaggio. Giunto al colle, a 2.284 metri di altezza, mi fermo
una decina di minuti. Per prima cosa mi rifornisco d’acqua per le borracce.
Poi, mentre ammiro le rocce e le cime intorno a me, mangio un paio di barrette,
varie tartine alla marmellata e alla frittata distribuite dagli organizzatori.
Prima di ripartire, bevo
un paio di bottigliette d’acqua supplementari e un bicchiere di Coca Cola. Per
la discesa indosso solo un giubbotto senza maniche. Si va giù velocissimi sulla
stretta striscia di asfalto tra i pascoli. Ci sono anche cumuli di nebbia e non
fa per niente caldo quando vi si entra. In alcuni momenti devo rallentare
perché non si vede più nulla.
Giunti al bivio per il
Vallone d’Elva si gira a sinistra per Stroppo. Dopo S. Martino (poco più di
quattro case…), c’è un lungo tratto di falsopiano, poi si ricomincia a scendere
rapidissimi. Un tale che pedala senza mani mi sorpassa a velocità folle e fa
persino esercizi ginnici ed ampie torsioni del busto per sgranchirsi la schiena
ondeggiando paurosamente sulla bici! Forse sto sognando… Dopo vari tornanti dal
fondo dissestato appare dietro una curva lo svettante campanile della chiesa romanica
di S. Pietro. Ma non c’è tempo per guardare, bisogna impostare una stretta
curva a gomito. Vari corridori mi superano sia a destra sia a sinistra
scendendo come matti. Ancora alcuni veloci tratti in discesa ed arrivo
finalmente sulla statale della Valle Maira (che vuol dire magra, cioè povera),
dove mi levo l’antivento e prendo un po’ di maltodestrine, conscio dei Km di
salita che ancora mi attendono.
Pochi minuti di strada
nella valle incassata ad andatura tirata portano a Ponte Marmora, dove ha inizio
la salita del Col d’Esischie. Il problema è che molti concorrenti del percorso
medio (che terminava poco più in alto, a Canosio) sono già arrivati e stanno
scendendo in bici per tornare a Cuneo. C’è un traffico micidiale nei due sensi,
con molte auto bloccate nelle prime gallerie dove noi che cominciamo a salire
respiriamo aria avvelenata, zigzagando tra le vetture, mentre i ciclisti del
“medio” scendono come proiettili, sorpassando i veicoli sia a destra che a
sinistra. Pur di uscire in fretta da questo dedalo fastidioso spingo forte sui
pedali e brucio con alcuni sorpassi fuori sella un po’ di energie che forse
sarebbe stato meglio risparmiare per i chilometri successivi.
Dopo il bivio per
Canosio la strada gira a sinistra diventando finalmente più tranquilla e inizia
l’ascesa tanto attesa e temuta ai mitici valichi del cuneese: l’Esischie e poi,
subito dopo, il Fauniera (detto anche Colle dei Morti). Questa ascensione, va
detto, ha anche momenti con pendenze accettabili, ma è lunghissima: 28 Km. Supero
vari concorrenti pedalando in agilità, penetrando nel grande vallone che come
un pentolone gigantesco all’aria aperta cuoce tutto – noi compresi - sotto il
sole a picco e un cielo straordinariamente blù. Il sudore annebbia la vista. La
vegetazione alpina è lussureggiante. Predominano i larici. Nella stradina che
sale nella foresta appaiono improvvisi tratti di qualche centinaio di metri al
10-12%, come nelle vicinanze del bivio per il Lago Tempesta e anche
ripetutamente più avanti, con punte persino più elevate (fino al 15%), che sono
come stilettate nei quadricipiti. Si fa fatica a salire regolari. Occorre
pedalare con saggezza dosando le forze.
Quando i larici si
diradano esco nella testata dell’alta valle dove un paio di rettilinei
interminabili e abbastanza faticosi mi portano ad un ampio curvone, presso un
alpeggio; qui alcuni gitanti mi riforniscono generosamente d’acqua. Supero un
altro paio di corridori e continuo a salire passando sull’altro fianco della
montagna. Altri tornanti mi portano più in alto nella solitudine e nel
silenzio, tra pascoli aridi e deserti. C’è un ultimo lungo traverso dove da
dietro una curva sbuca all’improvviso un fotografo che mi scatta un paio di
istantanee. Ecco finalmente il Col d’Esischie. Sul passo c’è un po’ di gente
che fa il tifo per i “coppisti”: questa razza strana di granfondisti di ogni
età che in una domenica di luglio ha deciso di sciropparsi 200 Km e 4.500 metri
di dislivello ad altitudini estreme. Grande è la voglia di fermarsi per
riposare un po’ e rifocillarsi, ma il Colle Fauniera è ancora distante, a circa
1 Km e mezzo. Occorre andare avanti, perciò si scollina di qualche metro, poi
invece di proseguire scendendo nella Val Grana verso il santuario di San Magno,
si risale verso il Colle del Vallonetto e, dopo un ultimo sforzo supremo, si
arriva finalmente al Colle Fauniera, a metri 2.370 di altitudine. I
rifornimenti sono abbastanza scarsi. C’è poco da mangiare e da bere c’è solo
acqua: unica nota stonata in una giornata perfetta. Per fortuna mi restano le
maltodestrine che ho portato da casa.
La discesa dal Fauniera
verso Demonte, attraverso il Colle Valcavera e poi percorrendo il Vallone
dell’Arma, è pericolosissima e velocissima. Prima la strada disegna una
serpentina tra rocce lunari ed alpeggi. Poi più in basso si entra nel bosco e
si fa fatica a veder bene la striscia di asfalto (e le numerose buche) a causa
dei giochi di luce e ombra disegnati dal sole. In basso il caldo afoso si fa
sentire e preferisco fermarmi per togliere l’antivento. Mentre sono fermo, mi
raggiungono un po’ di corridori con cui proseguo la discesa perdendo dapprima
un po’ di strada ma poi riguadagnando metri e rientrando nel gruppetto
approfittando di una contropendenza. Dopo una decina di Km di pianura, in
larghissimo anticipo sul “cancello” orario fissato dagli organizzatori, arrivo
a Festiona, dove ha inizio l’ultima salita, la temutissima Madonna del Colletto
(che sale sino a 1.304 metri di altitudine), famosa per le sue pendenze
implacabili (specie a fine corsa…).
Esattamente come alla
Granfondo Campagnolo, dove c’è il terribile Croce d’Aune nel finale, anche
questa Madonna del Colletto è stata crudelmente progettata al puro scopo di
stroncare le forze residue dei concorrenti. Fatta da sola questa salita non è
granché, ma dopo 170 Km, il Sampeyre e il Fauniera, non è per nulla piacevole.
Salgo con estrema prudenza, temendo un improvviso crampo o una crisi. E’
proprio come dice il sito Internet della corsa: “…se ne avrete ancora sarete
stati grandi ed è il momento di gettare il cuore oltre l’ostacolo fin da
subito, se invece sarete cotti come pere, in cima al Colletto la Madonna la
vedrete per davvero”.
Per allontanare questo
pensiero e cercare nuovi stimoli, a poco a poco comincio ad accarezzare l’idea
che forse potrei riuscire a chiudere la gara in meno di 10 ore… Penso che se
riuscissi a distanziare un po’ di corridori in salita, poi li potrei aspettare
in discesa e fare gli ultimi 15 Km in gruppo a più forte velocità. A metà
salita, pertanto, abbandono ogni ragionevole prudenza e spremo tutte le mie
residue energie. Poiché mi sono dato un obiettivo ed ho addirittura concepito
un piano strategico preciso per finire la gara è proprio segno che sono ancora
vivo! Non ci avrei mai creduto stamattina alla partenza, considerando lo scarso
allenamento di quest’anno.
Gli ultimi tre Km della
Madonna del Colletto li pedalo come se stessi gareggiando in una cronoscalata.
Risultato: scollino in solitudine e non mi raggiunge più nessuno fino a
Valdieri, dopo circa 7 Km di discesa percorsi a rotta di collo. Mi colpisce il
fatto che persino la discesa dalla Madonna del Colletto somiglia a quella dal
Croce d’Aune verso Feltre, con lunghi rettilinei separati da ampi tornanti… La
Fausto Coppi e la Campagnolo sembrano proprio due corse gemelle!
Giunto sulla statale
dapprima mi supera un corridore che invece di procedere intelligentemente con
me dandoci cambi regolari prosegue come una scheggia. Poi mi si affiancano due
altri ciclisti di quelli che avevo staccato in salita con cui formiamo un “treno”
velocissimo, che si ingrossa man mano che raggiungiamo il fuggitivo precedente,
ormai esausto, ed altri solitari. Voliamo in fila indiana verso Cuneo ad oltre
50 Km/h schivando rotonde, animali randagi e persino una nonna su una
carrozzina che improvvisamente attraversa una strada del centro. Entra nel
nostro gruppetto anche un cicloturista “estraneo” alla corsa che però rimane
subito stroncato dal nostro ritmo. Quasi senza accorgerci, subito dopo una
curva ad angolo, sbuchiamo come per magia in Piazza Garibaldi dalla parte
opposta a quella da cui siamo partiti stamattina. Faccio appena in tempo a
vedere il pallone sospeso del traguardo che l’ho già superato a folle velocità,
frenando appena in tempo per inforcare il tappeto del controllo cronometrico.
Guardo l’orologio, un po’ incredulo. Sono le 16:54: il mio tempo di gara (soste
incluse) è dunque di 9h54’. Ce l’ho fatta: meno di dieci ore!
E’ stata una esperienza
veramente indimenticabile. Dopo una bella doccia in albergo sono subito in
auto. Mi attendono altre tre ore e mezzo interminabili di viaggio verso casa
che però passano in un attimo.