(altezze di riferimento slm: La Villa 1.421;
Corvara 1.522 m.; Passo Campolongo 1.875 m.; Arabba 1.624 m.; Passo Pordoi
2.249 m.; bivio per il Passo Sella 1.848 m.; Passo Sella 2.244 m.; Plan de
Gralba 1.624 m.; Passo Gardena 2.121; Corvara 1.522 m.; fonte: sito internet
dell’organizzazione della Maratona http://www.maratona-dolomites)
Rotto ogni indugio, alle 5 del mattino del 22
marzo avevo caricato la bici in auto ed ero partito da Omegna che era ancora
buio. Dopo una colazione di lavoro a Vicenza, avevo fatto dietro front verso
l’autostrada del Brennero, sempre congestionata dagli autotreni. Oltrepassata
Bolzano, ero uscito al casello di Chiusa (visitate l’enoteca sociale!) e avevo
risalito la Val Gardena in direzione del Passo omonimo, superato il quale avevo
finalmente raggiunto Corvara ormai a sera inoltrata. Dopo una abbondante cena e
una buona dormita all’Hotel Posta, il 23 marzo mattina alle 8 e mezza ero già
in sella, pronto a provare il percorso.
E’ stata davvero una splendida esperienza
solitaria, con un bel caldo secco e solo qualche folata gelida sui passi. Cielo
sereno, grandiosa vista sulle montagne. Sensazioni impagabili. Troppo bello per
essere vero, al punto che ho quasi perso le motivazioni per tornare il 9 luglio
per partecipare alla gara vera e propria a cui mi sono iscritto già da un mese,
pungolato dall’amico Borella. In effetti la parte più dura di tutta questa
faccenda non è tanto l’impegno ciclistico in se stesso quanto l’estenuante
viaggio in auto da Omegna a Corvara e ritorno; a ciò si aggiunge il fatto non
trascurabile che un conto è pedalare solitari in libertà, un altro è salire i
tornanti iniziali del Passo Campolongo e, come minimo, scendere anche quelli
successivi fino ad Arabba, stretti nella morsa di una incredibile fila di
migliaia di ciclisti, spesso scomposti e disattenti, lunga svariati chilometri.
Ma, chissà, all’avvicinarsi della data della gara magari mi sarà tornata la
nostalgia delle Dolomiti e la voglia di risalire il Pordoi...
Quest’anno gli organizzatori hanno pensato
bene di modificare il percorso eliminando la dura ascensione al Passo Fedaia,
dove l’anno passato ci fu una vera e propria ecatombe di ciclisti sui tre
ripidi chilometri del pendio stroncagambe al 15% della Malga Ciapela. Il
percorso breve del 2000 è dunque più “fattibile” ed è praticamente un circuito
che parte da La Villa, bel paesino che si trova 4 km. prima di Corvara, e
supera in successione 4 stupendi passi, il Campolongo, il Pordoi, il Sella e il
Gardena prima di ridiscendere al traguardo di Corvara. Questo circuito è comune
anche ai due percorsi medio e lungo; completata la “Sella Ronda” il percorso
medio prosegue nuovamente verso il Campolongo e affronta subito il Passo
Falzarego e il Passo Valparola prima di terminare a Corvara; il percorso lungo
prevede in più anche il superamento del Passo Giau e affronta il Passo
Falzarego da Pocol.
Per sperimentare il circuito, a me del tutto
ignoto, scelgo una strategia prudente, anche perchè le previsioni dicono che
verso mezzogiorno potrebbe piovere. Decido di ridiscendere tutti i passi dalla
stessa parte della salita per poter riprendere sistematicamente l’auto,
caricarvi la bici e raggiungere ogni volta la località di partenza verso il
passo successivo. In questo modo se dovessi trovarmi in difficoltà, mi sarebbe
sufficiente fare dietro front e ridiscendere dove ho posteggiato
temporaneamente l’automobile per riguadagnare comodamente l’albergo. Ma
fortunatamente il tempo e le gambe mi assisteranno.
Il tratto da Corvara al Passo Campolongo è di
tutto riposo. Solo nei chilometri iniziali la strada si inerpica su alcuni
tornanti che presentano a volte curve molto secche e in discreta pendenza.
Mentre si sale l’occhio spazia sul panorama della vallata, con Corvara e
Colfosco sormontate dalla mole del Sassongher. Un lungo falsopiano precede il
passo, ancora innevato; la strada è viscida in alcuni punti. Ridiscendo a
velocità moderata a Corvara e, presa l’auto, rifaccio a 4 ruote il Campolongo
raggiungendo in un battibaleno Arabba: una discesa veloce e bellissima in bici
- penso - ma meglio se fatta non in gruppo. Parcheggio nuovamente e montata la
ruota anteriore parto impaziente sotto un sole abbagliante verso il passo
Pordoi: 625 m. di dislivello, 9 km. esatti, con una pendenza media del 6,9%. Il
Pordoi è molto regolare, non offre sorprese e raramente la strada si impenna
oltre la pendenza media. Sui pendii della vallata c’è davvero poca neve. In
alcuni tornanti gli sciatori attraversano penosamente l’asfalto trascinando gli
sci. Quelli che salgono con gli skilift hanno a disposizione sotto i piedi una
striscia di neve artificiale larga non più di un metro che si snoda come la
glassa di una torta sui prati secchi. Quelli che scendono devono invece
accontentarsi di piste non più larghe di 5-6 metri: guai a chi sbaglia una
curva, finirebbe a ruzzoloni nell’erba.
Salgo con regolarità, senza forzare,
risparmiando le forze per il Passo Sella, attento a non scivolare su qualche
crostone di ghiaccio formatosi nella notte sulla strada. I tornanti del Pordoi
sono numerati e sembrano non finire mai, ma non affaticano più di tanto. E’
molto più dura la Domodossola-Alpe San Bernardo che avevo sperimentato il
sabato precedente. Raggiunto il passo innevato mi gusto per qualche attimo lo
spirito di questa bella impresa invernale e prendo qualche foto con
l’autoscatto per l’album dei ricordi. Il bianco della neve è abbagliante.
All’esterno dell’Albergo Savoia un gruppo di anziane signore si gode il sole
dietro una vetrata di plexiglas studiata apposta per proteggere i turisti dal
vento. Cambio la maglia sudata e ridiscendo velocemente verso Arabba,
disturbato da raffiche improvvise che quasi mi sollevano. Con l’auto risalgo
nuovamente il Pordoi, di cui mi sono ormai impresso nella memoria ogni curva, e
scendo dal versante opposto, con bella vista sulla Val di Fassa. Raggiunto il
bivio per il passo Sella, a circa 1.850 metri di altitudine, parcheggiata
l’automobile in un piccolo spiazzo lascio sulla mia sinistra la strada che
scende a Canazei e riprendo a salire con la specialissima. Un paio di secchi
tornanti portano su un breve falsopiano circondato da abeti verdissimi dove si
trovano il Rifugio dei Monti Pallidi (chiuso) e il bell’albergo Pian
Schiavaneis (oggi aperto): le Dolomiti si ergono come una muraglia davanti a
questi piccoli edifici che sembrano miniature di un grande plastico. Incrocio
l’unico ciclista della giornata che scende come un razzo dal Passo Sella, ci
guardiamo un po’ increduli e facciamo appena in tempo ad abbozzare
reciprocamente un saluto. Si pedala che è una meraviglia. C’è un sole
fantastico che splende sul Piz Ciavaces e che fortunatamente scalda la schiena
mentre di tanto in tanto soffiano fredde raffiche di vento. Questa del Passo
Sella è una salita ben più impegnativa delle precedenti e non solo perchè si
hanno già alle spalle i quasi 1.000 metri di dislivello del Campolongo e del
Pordoi: infatti, la strada ora picchia per lunghi tratti oltre l’11%, ma il
panorama è fantastico e mi accorgo persino di accelerare inconsciamente per
l’eccitazione. Una serie di veloci tornanti porta sul rettilineo che taglia la
cresta sommitale e dal quale si gode una vista mozzafiato sul Gruppo del
Sassolungo con le sue splendide tre punte proiettate verso il cielo. Superata
un’ultima curva e un breve tratto sterrato, arrivo un po’ congelato ed
infangato al Passo Sella, dove posso annusare nell’aria un profumo di wurstel
che esce dalle finestre del ristorante, ma resisto alla tentazione e scattata
qualche altra foto mi ributto a capofitto in discesa verso Canazei imbacuccato
in una vecchia giacca a vento azzurra che fortunatamente avevo infilato nello
zaino. Raggiunto l’albergo Pian Schiavaneis mi accorgo che è ormai tardi per
affrontare in bicicletta anche il Passo Gardena, che comunque a questo punto
sarebbe solo una pura formalità. Ho perso troppo tempo con i “viaggi navetta”
in auto e devo tornare di corsa a Corvara a fare le valigie perchè devo
ripartire subito per Bressanone dove mi aspettano per cena. Mi siedo ad un
tavolino all’aperto e mangio una dopo l’altra tre Fiesta della confezione
famiglia che avevo acquistato il giorno precedente ad un autogrill, innaffiate
da una buona aranciata.
Il panorama dal Pian Schiavaneis è così bello
che viene da piangere a dover tornare alle fatiche del lavoro. Ma non posso
davvero lamentarmi, è stato un blitz impagabile, anche per le eccezionali condizioni
meteorologiche (pochi giorni dopo avrebbe nevicato...): una pedalata di gran
classe che lascerà una traccia indelebile nei miei ricordi.
Marco Fortis
“...grazie Marco per le tue relazioni sempre
così puntuali, precise e ricche di dati, la salita è forse l’espressione
massima dell’andare in bicicletta, è il gusto estremo di fare fatica per
passione, perchè nessuno ci remunera per questo, ma quando si arriva in cima ad
una vetta, grande o piccola, spingendo al massimo le nostre capacità, veniamo
pagati con una moneta che non subisce la svalutazione nel tempo ... quello che
si prova dentro, noi cicloamatori, lo conosciamo bene.”
Terricolo Solitario