domenica 19 luglio 2009

PIRENEI 2009. LA ROUTE DES COLS (dal Col d’Aubisque al Col du Peyresourde)

Questo è il resoconto di una gita programmata da tempo e studiata sin nei minimi particolari a cui tenevo molto. Partenza con la famiglia il 14 luglio alla volta Pirenei. Due giorni di sosta rilassante nella città fortificata di Carcassonne per spezzare l’interminabile viaggio in auto dall’Italia. Poi la sera del 16 luglio, dopo una visita nel pomeriggio a Lourdes, finalmente arriviamo ad Arras en Lavedan, piccolo borgo ai piedi del Col du Soulor.

Purtroppo il clima si guasta improvvisamente; la grande afa si trasforma in nuvoloni neri e nella notte piove e grandina con violenza. L’indomani è venerdì 17: una data che è tutto un programma e, non poteva essere altrimenti, i piani saltano del tutto. Soltanto una breve schiarita verso mezzogiorno, il tempo di vedere allo zoo di Argelès-Gazost un po’ di marmotte e di orsi bruni dei Pirenei insieme alla piccola Giulia, poi ricomincia a piovere e va avanti a dirotto fino a sera (e sarà così di nuovo tutta la notte). Saliamo in auto fino al Col du Soulor in mezzo ad una tempesta di pioggia, tanto per passare il tempo. Giulia si mangia una crèpe alla Nutella al rifugio, mentre io guardo tristemente alla TV un po’ della tappa del Tour e spiego all’oste chi è Nocentini, che in questi giorni veste la maglia gialla. A cena non resta che dimenticare, davanti ad una bottiglia di buon vino nella nostra accogliente pensione famigliare, la brutta giornata di maltempo insieme ad alcuni altri ospiti olandesi e francesi.
Doveva essere il primo giorno di pedalate. Erano in programma il Col du Soulor e il Col d’Aubisque da Argèles-Gazost il mattino ed il Col du Tourmalet da Luz-St-Saveur il pomeriggio. Invece tutto da rifare…

Il Col du Soulor (1.474 m.) e il Col d’Aubisque (1.709 m.)
Il 18 luglio mattina all’alba sono già in piedi. Ma piove ancora. Appena smette un po’ mi decido: carico nervosamente la bici sull’auto e risalgo fino al Col du Soulor. Il clima sembra migliorare e in lontananza si intravede qualche schiarita. Mi preparo e verso le otto del mattino lascio l’auto ed il Col du Soulor in direzione del Col d’Aubisque sulla mia nuova Colnago EPS bianca. Fa un freddo cane: zero gradi. Per fortuna mi ero portato un giubbotto pesante. Durante la notte è nevicato fino a 2.200 metri circa e le cime sopra di me sono infarinate di bianco.
Dapprima si scende per un paio di chilometri perdendo circa 150-200 metri di dislivello, poi la strada prosegue in falsopiano per altri 3-4 chilometri superando un paio di brevi e buie gallerie da cui cadono copiosi scrosci d’acqua. La strada è parecchio dissestata e cosparsa di pietrisco portato a valle dalle forti piogge. Proseguo pedalando di buona lena ma ad un certo punto devo attraversare una fattoria con un allevamento di vacche e pecore presidiato da un nutrito gruppo di cani pastore dei Pirenei. All’inizio tutto sembra andare bene, ma poi due cani piccoli come batuffoli cominciano ad abbaiare e ad inseguirmi. Ad essi si unisce subito la madre che minaccia pericolosamente coi suoi denti affilatissimi i miei polpacci. Sono 100 metri terribili che pedalo con i brividi lungo la schiena mentre anche altri cani della fattoria cominciano a corrermi dietro e ad abbaiare. Perfido Col d’Aubisque – penso - manca solo che spunti anche un orso bruno da dietro la curva.
Finalmente i cani sembrano calmarsi. Tiro un sospiro di sollievo. La strada comincia a salire e percorro per alcune centinaia di metri un tratto molto malandato e ricoperto di terriccio con grandi pozzanghere. Avevo appena ripreso un po’ di entusiasmo e di ritmo di pedalata quando improvvisamente odo un sibilo. Ho forato. Era da più di cinque anni che non mi capitava; doveva succedere proprio qui in questo vallone solitario!
Fatico un po’ a togliere la ruota posteriore e a ripararla. Passa quasi mezz’ora. La camera d’aria presenta un bel buco causato certamente da una piccola pietra acuminata. Riprendo a pedalare ma, fatti pochi chilometri, appare all’orizzonte una seconda fattoria con altri minacciosi cani pastore bianchi sdraiati sulla strada. Mi fermo alquanto pensieroso. Non mi va proprio di farmi azzannare. Approfitto della prima auto che, per un colpo di fortuna, verso le nove scende lentamente dal Col d’Aubisque e faccio dietro front seguendola in discesa. Uso come scudo il veicolo, che percorre la strada a precipizio con estrema cautela, e supero la prima fattoria dove questa volta i cani non mi attaccano. Poi risalgo verso il Col du Soulor a tutta velocità in netto ritardo sui tempi che mi ero prefissato. Ricarico la bici in auto e riparto per il Col d’Aubisque: obiettivo oltrepassare in macchina incolume le fattorie con i terribili cani bianchi. A circa 4 chilometri dal Colle parcheggio l’auto, riprendo la bici e finalmente pedalo senza rischi, sia pure con un manto stradale molto rovinato, fino allo scollinamento. Il tempo di fare due foto al passo e al rifugio ed è già ora di tornare a valle perché dobbiamo lasciare l’albergo entro le undici del mattino. Non sono per nulla contento. La mia “Route de Cols” pirenaica, dal Col d’Aubisque al Col de Peyresourde me l’ero immaginata proprio diversa. Il Soulor e l’Aubisque li ho fatti, sì, ma un po’alla Fantozzi e con un sacco di imprevisti ed interruzioni che mi hanno fatto perdere l’ispirazione che cercavo…

Il Col du Tourmalet (2.115 m.)
Recuperata la famiglia in albergo e caricati alla rinfusa i bagagli partiamo in auto in direzione Luz-St-Saveur, dopo aver comprato anche una nuova camera d’aria di scorta ad Argèlet-Gazost. Il tempo sta notevolmente migliorando ed a poco a poco il cielo si rasserena completamente. Arrivati all’attacco del Tourmalet scarico la bici e parto, finalmente tranquillo, alla volta del leggendario passo. Questa volta non dovrebbero esserci problemi, almeno lo spero. La famiglia si ferma in città per un po’ a fare qualche acquisto. In seguito mi raggiungerà sul colle.
Da Luz-St-Saveur al Col du Tourmalet la strada è lunga circa 18 chilometri ed arriva ai 2.115 metri d’altezza. I primi chilometri fino a Barèges sono molto pedalabili e scarico finalmente tutta la voglia di correre accumulata in questi giorni. A Barèges, dato che ormai è l’una passata, mi fermo in una panetteria e compro una baguette. Ne mangio metà per non restare senza energie e la parte rimanente la fisso di sbieco all’elastico della borsa portaoggetti. La salita ora si fa più dura già all’uscita del paese e la pendenza supera il 10%. Vengo raggiunto da Flavia e Giulia in auto che proseguono salutandomi. Le ritrovo qualche chilometro più avanti, presso il curvone del giardino botanico. Mi fanno alcune riprese con la videocamera, poi ripartono.
Gli ultimi 5-6 chilometri del Tourmalet sono impegnativi ma non sento la fatica. La giornata è diventata splendida ed il panorama è veramente fantastico, con vertiginosi precipizi sul fondovalle. Vengo raggiunto da un giovane ciclista spagnolo seguito in auto dal suo allenatore che gli urla dal finestrino parole terribili per farlo andare più veloce. Per quasi un chilometro resisto alle sue calcagna guadagnandomi l’ammirazione del suo coach. Infatti, stiamo pedalando ad oltre 17 Km/h su una pendenza sicuramente superiore al 9%. Poi rallento e proseguo cercando di recuperare le energie spese in quella follia. La salita è ancora lunga. Gli ultimi tornanti si impennano oltre il 10%. Ci sono persino dei lama sulla strada e nei prati intorno a pascolare: un tocco davvero peruviano.
Il colle è ormai vicino e lo raggiungo rapidamente festeggiato da Giulia che mi corre incontro felice. La foto sotto la statua del grande ciclista in metallo (“le geant de la route”) e il busto di Jacques Goddet, mitico direttore della Grande Boucle, è d’obbligo. Poi al ristorante posto proprio sul passo mangio con voracità un meritato panino e un paio di crèpes. I brutti ricordi del mattino presto dei cani rabbiosi dell’Aubisque sono ormai dimenticati. Il Tourmalet resterà invece per sempre nella mia memoria come una salita gioiosa, difficile ma non faticosa, simile nel paesaggio, per molti aspetti, al Nufenenpass.
Caricata la bici in auto, parto con la famiglia alla volta della nostra prossima nuova tappa: Arreau. Per giungere a questo piccolo villaggio strategico, posto ai piedi del Col d’Aspin e del Col du Peyresourde, occorre scendere il Tourmalet dal versante dell’orribile stazione sciistica di La Mongie, un vero mare di cemento, sino al mitico borgo di Ste-Marie-de-Campan, divenuto famoso perché qui in occasione del Tour de France del 1913 il ciclista Eugène Christophe dovette riparare da solo, per non essere squalificato dalla giuria, la forcella rotta della sua bici presso l’officina di un fabbro. Da Ste-Marie-de-Campan, poi, risaliamo in auto il Col d’Aspin per scendere infine ad Arreau dove albergheremo in un piccolo Logis de France.

Il Col d’Aspin (1.489 m.) e il Col du Peyresourde (1.569 m.)
Col du Tourmalet a parte, i colli pirenaici non sono molto alti e non devono preoccupare un ciclista minimamente allenato che si rispetti. Un tempo, quando questi passi non erano asfaltati, dovevano essere invece davvero terribili, specie se affrontati in successione 3 o 4 alla volta. Oggi è soprattutto il gran caldo che può far soffrire i ciclisti, specie nelle ore centrali della giornata.
Il 19 mattina lascio l’Hotel d’Angleterre di Arreau mentre Flavia e Giulia ancora dormono. Alle otto attacco il Col d’Aspin alla garibaldina. Sono 13 chilometri con pendenze che in alcuni punti superano il 9,5%. In meno di cinquanta minuti arrivo in cima, senza nemmeno impegnarmi troppo. Volo ancora sull’entusiasmo della bella pedalata di ieri sul Tourmalet. L’Aspin, al confronto, è roba da ridere.
Sul Colle però il panorama è non meno fantastico e verso Ovest si vede il Col du Tourmalet in lontananza dominato dal Pic du Midi de Bigorre con il suo osservatorio astronomico. I prati sono verdissimi e pieni di mucche bianche e marroni, tanto belle quanto pulite al punto che le si potrebbe tenere in casa come animali domestici. Scatto molte foto, poi scendo a precipizio disegnando belle traiettorie sui facili tornanti per raggiungere la famiglia in albergo. Oggi ad Arreau il paese festeggia il gateaux à la broche: un dolce a base di uova, farina, burro e grand marnier che viene abbrustolito su uno spiedo girevole posto sopra la brace di frasche d’abete. Il dolce più grande, lungo oltre 2 metri, viene cucinato sulla piazza del paese e richiede per la sua preparazione ben 750 uova.
Nel pomeriggio, dopo i festeggiamenti ed un rinfrescante bagno in piscina, parto di nuovo in bici sotto un sole tropicale alla volta del Col du Peyresourde. Da Arreau sono circa 20 chilometri: i primi 10 di falsopiano e leggera salita fino a Avajan, lungo i quali la mia Colnago sembra volare, poi di impegnativa arrampicata con pendenze che spesso superano il 9% e rari tratti nel bosco. Si è quasi sempre esposti al caldo sole dei Pirenei che ti lavora lentamente ai fianchi e ti disidrata. Bevo perciò molto e frequentemente. Tengo un’andatura spedita fino a 2 chilometri dal colle, poi cedo schiantato dal caldo e mi accontento di scollinare ad andatura turistica. Per oggi il mio dovere l’ho fatto. Ed ho concluso la mia tanto sognata “Route des Cols” pirenaica, sia pure con qualche disavventura all’inizio ed il dispiacere di non aver salito dal fondovalle il Col du Soulor ma di averlo solo oltrepassato rientrando dal Col d’Aubisque.

Il Col du Peyresourde, a quota 1.569 metri, è molto panoramico. Sul versante opposto si scende a Bagnères-de-Luchon. Dopo aver mangiato due crèpes al rifugio scendo verso valle ripensando a tutti questi mitici valichi che hanno fatto la storia del Tour de France e del ciclismo. Rientro ad Arreau a velocità supersonica molto soddisfatto di questa bella trasferta pirenaica, già rivolto col pensiero ai prossimi ozi di Avignone dove albergheremo domani prima di rientrare definitivamente in Italia.

Marco Fortis