domenica 2 luglio 2006

GRANFONDO FAUSTO COPPI 2006 Cuneo

IL MITO DEL FAUNIERA Km. 200, dislivello 4.500 metri
La vigilia è tranquilla.
Arrivo a Cuneo sabato 1° luglio verso le 16:00 dopo più di tre ore d’auto. Il caldo è afoso, il clima tropicale. L’albergo si affaccia direttamente sulla piazza Garibaldi, dove c’è il ritiro dei pacchi gara.
La maglia, che è obbligatorio indossare in gara, quest’anno è celeste. Vado a cenare in una trattoria del centro con una lussuosa enoteca: mi rallegra una bottiglia di Barbera di Vietti mentre guardo la partita dei mondiali Francia-Brasile sul televisore del ristorante. Commento con il gestore: “Speriamo che vinca la Francia, così ci giochiamo la finale con loro e ci prendiamo la rivincita”. Sono stato profetico.
Partenza della corsa alle 7:00 di domenica 2 luglio da Piazza Garibaldi. La giornata è bella. I ciclisti al via sono circa un migliaio, anche se più della metà faranno il percorso corto (che peraltro non è una passeggiata, prevedendo il duro colle di Sampeyre e un dislivello complessivo di 2.650 metri). Il gruppo si snoda a fisarmonica prima sul pavé del centro, poi tra le rotonde della periferia con pericolose frenate e ripartenze.
La prima salita arriva dopo una trentina di chilometri: è il Colle di Montemale, che “strappa” subito e tocca una pendenza massima del 14% proprio in vista dello scollinamento. E’ una ascesa di 4,2 Km da prendere con le molle, che rappresenta un buon antipasto di ciò che verrà. Mi viene in mente il consiglio degli organizzatori della corsa riportato sul sito Internet: “Risparmiate le gambe, sono gli unici pistoni che avete…”. In discesa sono prudentissimo e come al solito resto da solo. Da Dronero in poi “tiro” per un po’ ad oltre 40 Km/h una ragazza rimasta anch’essa staccata, fino a che ci raggiungono altri corridori e ci compattiamo. Il gruppo si è ormai spezzettato in vari tronconi. Io sono ora con una ventina di ciclisti dall’aspetto piuttosto combattivo. Dietro di noi molti altri gruppetti inseguono più lontani.
La Colletta di Rossana è la seconda salita della giornata, di poco meno di 3 Km. La affrontiamo in velocità. Non è dura come la precedente e scolliniamo in un attimo. La discesa è velocissima. Comincia la lunga fase di avvicinamento alla città di Sampeyre, da dove poi prenderà il via la vera e propria ascesa al colle omonimo. Per intanto “godiamoci” questi circa 30 Km in cui si sale gradatamente dalla rotonda di Piasco alla cittadina di Sampeyre coprendo quasi 500 metri di dislivello. In gare interminabili di questo tipo ci vuole pazienza ed all’inizio è inutile strafare, anche perché il difficile deve ancora venire. La pendenza media è bassa e saliamo in questo tratto di falsopiano superando spesso i 35 Km/h. Si è formato a poco a poco un bel gruppo di una settantina di corridori.
Arrivati a Sampeyre, mi fermo ad una fontana assieme ad altri ciclisti per riempire le borracce, ma ci accorgiamo che l’acqua non è potabile. Devo perciò ripartire e sostare nuovamente più avanti presso un ristoro volante. Poi la salita comincia subito implacabile entrando nel bosco con lunghi tratti superiori al 10%. Il dislivello complessivo fino al Colle di Sampeyre da questo punto in poi è di altri 1.311 metri con tratti di pendenza massima al 13% ed una lunghezza totale di 16,3 Km. Questa salita mi ricorda per alcuni aspetti il Col de Télégraphe (che ho fatto alla Marmotte dello scorso anno) e per altri aspetti il Passo Giovo (che ho fatto alla Oetztaler Radmarathon del 2004). La strada militare con caratteristici parapetti sale arcigna ed una volta uscita dal bosco si snoda tra ampi pascoli pieni di mucche. I ciclisti salgono grondanti di sudore avvolti da nuvole di mosche fastidiose. Si passa sull’altro versante della montagna, dove alcuni lunghi tratti separati da tornanti ci fanno guadagnare velocemente decine di metri di altitudine. Mi torna alla mente un altro commento del sito Internet della Fausto Coppi: “questa salita è come un pugile che ti stronca col lavoro ai fianchi”.
Ad un certo punto una curva ci porta in cresta dove però ci attende ancora un lungo semicerchio panoramico di oltre 1 Km e mezzo prima di arrivare al passo. Il sole splende e il panorama è selvaggio. Giunto al colle, a 2.284 metri di altezza, mi fermo una decina di minuti. Per prima cosa mi rifornisco d’acqua per le borracce. Poi, mentre ammiro le rocce e le cime intorno a me, mangio un paio di barrette, varie tartine alla marmellata e alla frittata distribuite dagli organizzatori.
Prima di ripartire, bevo un paio di bottigliette d’acqua supplementari e un bicchiere di Coca Cola. Per la discesa indosso solo un giubbotto senza maniche. Si va giù velocissimi sulla stretta striscia di asfalto tra i pascoli. Ci sono anche cumuli di nebbia e non fa per niente caldo quando vi si entra. In alcuni momenti devo rallentare perché non si vede più nulla.
Giunti al bivio per il Vallone d’Elva si gira a sinistra per Stroppo. Dopo S. Martino (poco più di quattro case…), c’è un lungo tratto di falsopiano, poi si ricomincia a scendere rapidissimi. Un tale che pedala senza mani mi sorpassa a velocità folle e fa persino esercizi ginnici ed ampie torsioni del busto per sgranchirsi la schiena ondeggiando paurosamente sulla bici! Forse sto sognando… Dopo vari tornanti dal fondo dissestato appare dietro una curva lo svettante campanile della chiesa romanica di S. Pietro. Ma non c’è tempo per guardare, bisogna impostare una stretta curva a gomito. Vari corridori mi superano sia a destra sia a sinistra scendendo come matti. Ancora alcuni veloci tratti in discesa ed arrivo finalmente sulla statale della Valle Maira (che vuol dire magra, cioè povera), dove mi levo l’antivento e prendo un po’ di maltodestrine, conscio dei Km di salita che ancora mi attendono.
Pochi minuti di strada nella valle incassata ad andatura tirata portano a Ponte Marmora, dove ha inizio la salita del Col d’Esischie. Il problema è che molti concorrenti del percorso medio (che terminava poco più in alto, a Canosio) sono già arrivati e stanno scendendo in bici per tornare a Cuneo. C’è un traffico micidiale nei due sensi, con molte auto bloccate nelle prime gallerie dove noi che cominciamo a salire respiriamo aria avvelenata, zigzagando tra le vetture, mentre i ciclisti del “medio” scendono come proiettili, sorpassando i veicoli sia a destra che a sinistra. Pur di uscire in fretta da questo dedalo fastidioso spingo forte sui pedali e brucio con alcuni sorpassi fuori sella un po’ di energie che forse sarebbe stato meglio risparmiare per i chilometri successivi.
Dopo il bivio per Canosio la strada gira a sinistra diventando finalmente più tranquilla e inizia l’ascesa tanto attesa e temuta ai mitici valichi del cuneese: l’Esischie e poi, subito dopo, il Fauniera (detto anche Colle dei Morti). Questa ascensione, va detto, ha anche momenti con pendenze accettabili, ma è lunghissima: 28 Km. Supero vari concorrenti pedalando in agilità, penetrando nel grande vallone che come un pentolone gigantesco all’aria aperta cuoce tutto – noi compresi - sotto il sole a picco e un cielo straordinariamente blù. Il sudore annebbia la vista. La vegetazione alpina è lussureggiante. Predominano i larici. Nella stradina che sale nella foresta appaiono improvvisi tratti di qualche centinaio di metri al 10-12%, come nelle vicinanze del bivio per il Lago Tempesta e anche ripetutamente più avanti, con punte persino più elevate (fino al 15%), che sono come stilettate nei quadricipiti. Si fa fatica a salire regolari. Occorre pedalare con saggezza dosando le forze.
Quando i larici si diradano esco nella testata dell’alta valle dove un paio di rettilinei interminabili e abbastanza faticosi mi portano ad un ampio curvone, presso un alpeggio; qui alcuni gitanti mi riforniscono generosamente d’acqua. Supero un altro paio di corridori e continuo a salire passando sull’altro fianco della montagna. Altri tornanti mi portano più in alto nella solitudine e nel silenzio, tra pascoli aridi e deserti. C’è un ultimo lungo traverso dove da dietro una curva sbuca all’improvviso un fotografo che mi scatta un paio di istantanee. Ecco finalmente il Col d’Esischie. Sul passo c’è un po’ di gente che fa il tifo per i “coppisti”: questa razza strana di granfondisti di ogni età che in una domenica di luglio ha deciso di sciropparsi 200 Km e 4.500 metri di dislivello ad altitudini estreme. Grande è la voglia di fermarsi per riposare un po’ e rifocillarsi, ma il Colle Fauniera è ancora distante, a circa 1 Km e mezzo. Occorre andare avanti, perciò si scollina di qualche metro, poi invece di proseguire scendendo nella Val Grana verso il santuario di San Magno, si risale verso il Colle del Vallonetto e, dopo un ultimo sforzo supremo, si arriva finalmente al Colle Fauniera, a metri 2.370 di altitudine. I rifornimenti sono abbastanza scarsi. C’è poco da mangiare e da bere c’è solo acqua: unica nota stonata in una giornata perfetta. Per fortuna mi restano le maltodestrine che ho portato da casa.
La discesa dal Fauniera verso Demonte, attraverso il Colle Valcavera e poi percorrendo il Vallone dell’Arma, è pericolosissima e velocissima. Prima la strada disegna una serpentina tra rocce lunari ed alpeggi. Poi più in basso si entra nel bosco e si fa fatica a veder bene la striscia di asfalto (e le numerose buche) a causa dei giochi di luce e ombra disegnati dal sole. In basso il caldo afoso si fa sentire e preferisco fermarmi per togliere l’antivento. Mentre sono fermo, mi raggiungono un po’ di corridori con cui proseguo la discesa perdendo dapprima un po’ di strada ma poi riguadagnando metri e rientrando nel gruppetto approfittando di una contropendenza. Dopo una decina di Km di pianura, in larghissimo anticipo sul “cancello” orario fissato dagli organizzatori, arrivo a Festiona, dove ha inizio l’ultima salita, la temutissima Madonna del Colletto (che sale sino a 1.304 metri di altitudine), famosa per le sue pendenze implacabili (specie a fine corsa…).
Esattamente come alla Granfondo Campagnolo, dove c’è il terribile Croce d’Aune nel finale, anche questa Madonna del Colletto è stata crudelmente progettata al puro scopo di stroncare le forze residue dei concorrenti. Fatta da sola questa salita non è granché, ma dopo 170 Km, il Sampeyre e il Fauniera, non è per nulla piacevole. Salgo con estrema prudenza, temendo un improvviso crampo o una crisi. E’ proprio come dice il sito Internet della corsa: “…se ne avrete ancora sarete stati grandi ed è il momento di gettare il cuore oltre l’ostacolo fin da subito, se invece sarete cotti come pere, in cima al Colletto la Madonna la vedrete per davvero”.
Per allontanare questo pensiero e cercare nuovi stimoli, a poco a poco comincio ad accarezzare l’idea che forse potrei riuscire a chiudere la gara in meno di 10 ore… Penso che se riuscissi a distanziare un po’ di corridori in salita, poi li potrei aspettare in discesa e fare gli ultimi 15 Km in gruppo a più forte velocità. A metà salita, pertanto, abbandono ogni ragionevole prudenza e spremo tutte le mie residue energie. Poiché mi sono dato un obiettivo ed ho addirittura concepito un piano strategico preciso per finire la gara è proprio segno che sono ancora vivo! Non ci avrei mai creduto stamattina alla partenza, considerando lo scarso allenamento di quest’anno.
Gli ultimi tre Km della Madonna del Colletto li pedalo come se stessi gareggiando in una cronoscalata. Risultato: scollino in solitudine e non mi raggiunge più nessuno fino a Valdieri, dopo circa 7 Km di discesa percorsi a rotta di collo. Mi colpisce il fatto che persino la discesa dalla Madonna del Colletto somiglia a quella dal Croce d’Aune verso Feltre, con lunghi rettilinei separati da ampi tornanti… La Fausto Coppi e la Campagnolo sembrano proprio due corse gemelle!
Giunto sulla statale dapprima mi supera un corridore che invece di procedere intelligentemente con me dandoci cambi regolari prosegue come una scheggia. Poi mi si affiancano due altri ciclisti di quelli che avevo staccato in salita con cui formiamo un “treno” velocissimo, che si ingrossa man mano che raggiungiamo il fuggitivo precedente, ormai esausto, ed altri solitari. Voliamo in fila indiana verso Cuneo ad oltre 50 Km/h schivando rotonde, animali randagi e persino una nonna su una carrozzina che improvvisamente attraversa una strada del centro. Entra nel nostro gruppetto anche un cicloturista “estraneo” alla corsa che però rimane subito stroncato dal nostro ritmo. Quasi senza accorgerci, subito dopo una curva ad angolo, sbuchiamo come per magia in Piazza Garibaldi dalla parte opposta a quella da cui siamo partiti stamattina. Faccio appena in tempo a vedere il pallone sospeso del traguardo che l’ho già superato a folle velocità, frenando appena in tempo per inforcare il tappeto del controllo cronometrico. Guardo l’orologio, un po’ incredulo. Sono le 16:54: il mio tempo di gara (soste incluse) è dunque di 9h54’. Ce l’ho fatta: meno di dieci ore!
E’ stata una esperienza veramente indimenticabile. Dopo una bella doccia in albergo sono subito in auto. Mi attendono altre tre ore e mezzo interminabili di viaggio verso casa che però passano in un attimo.
Marco Fortis