domenica 1 aprile 2001

Gran Fondo Città di La Spezia 2001 – Percorso corto di 86,7 km

(km 86,7; dislivello complessivo: 1.570 m.; meteo: giornata soleggiata ma estremamente ventosa con raffiche pericolose; arrivati nel percorso corto: 762 corridori; arrivati nel percorso lungo: 899 corridori)
Gli Iridiani tornano sempre sul luogo del delitto. Così, anche se dopo la bella Gran Fondo delle Cinque Terre di 130 km disputata lo scorso settembre avevo giurato a me stesso (e anche a Maurizio Borella) che mai più avrei partecipato a corse ciclistiche con discese tanto rischiose, a soli pochi mesi di distanza eccomi ancora qui sulle stesse strade pronto a gareggiare nuovamente in sella alla specialissima. La realtà è che stare lontani dalle competizioni (ancorchè amatoriali) una volta che si è accesa la passione è difficile.
Come tutti ben sapete, quest’inverno è stato davvero complicato per gli stradisti piemontesi. Difficile allenarsi: tanto maltempo e troppi raffreddori. Però, giusto per un assaggio – ho pensato – perchè non provare questa GF Città di La Spezia? Un percorso non troppo lungo (87 km), a me parzialmente già noto, un dislivello complessivo non inaccessibile (circa 1.600 m) e l’occasione di una breve vacanza con la famiglia a Portovenere. E poi c’era il precedente dei colleghi Brunetti e Viganò, che già due anni fa avevano ben difeso i colori della Iride Omegna sulle strade spezzine. Così, proprio all’ultimo giorno utile, mi sono iscritto via fax.
Dopo un viaggio terribile venerdì 30 marzo, con la Pinarello sul tetto dell’auto risucchiata nei vortici di una pioggia sferzante, il giorno dopo ho dovuto lavorare un’ora nel garage dell’albergo per reingrassare cambio e catena prima di potermi riposare con moglie e figlia e godere dei bei panorami della grotta di Byron e del castello medioevale a picco sul mare. La domenica, finalmente, è una giornata bellissima e, per fortuna, sembra anche scomparso il vento fastidioso che aveva imperversato tutto il sabato. Il mio numero di pettorale è però altissimo (1830); sono nell’ultima griglia, dietro di me ci sono solo quelli che si sono iscritti sul posto ieri e oggi. Alle 9.10 si parte. Passano ben otto minuti dopo il via ufficiale della corsa prima che noi ultimi si riesca a transitare sotto lo striscione della partenza. Chissà dove saranno già arrivati i primi a quest’ora... Il percorso si muove in senso orario verso le Cinque Terre, mentre quello della Gran Fondo di Deiva Marina dello scorso settembre girava in senso antiorario.
Ho riletto il vecchio giornalino della Iride ed ho ben in mente la tattica di gara adottata da Brunetti e Viganò due anni fa: partenza cicloturistica e finale a tutto gas. Io però non me lo posso permettere, perchè in discesa sono una lumaca. Così appena iniziano le prime rampe ingrano la quarta. La salita d’avvio – quella della litoranea che sale da La Spezia fino alla galleria – è lunga 6 km, con un dislivello di 290 m, una pendenza media del 4,8% e una pendenza massima del 7%. Mantengo la velocità costantemente sui 20 km/h senza un attimo di respiro, salvo in un paio di tratti più ripidi. Ciò mi consente di superare uno dopo l’altro ben tre gruppi distinti di un centinaio di corridori ciascuno e successivamente diversi altri gruppetti di 20-30 corridori ciascuno. In tutto questo tratto sono superato da un solo atleta. Arrivo in cima alla salita fresco e contento, mi sento proprio in giornata. E sono anche tranquillo, perchè cautelativamente ho montato sul retro della sella un segnalatore luminoso intermittente per essere ben visto nelle frequenti gallerie e per “proteggermi” le spalle da discesisti troppo spericolati: forse questo espediente potrà anche far ridere, ma chi si è già rotto un braccio cadendo per colpa altrui dalla bici come me, poi le studia tutte per ridurre i rischi.
Purtroppo, all’uscita dalla galleria della Litoranea scopro amaramente che si è alzato un vento fortissimo sulla costa delle Cinque Terre e la discesa a capofitto su Riomaggiore diventa per me subito un calvario: le raffiche fanno vibrare minacciosamente la bicicletta, non riesco mai a superare i 35 km/h e freno persino nelle mezze curve, mentre cominciano a superarmi decine di corridori. Chissà come fanno ad andar giù così veloci… Finalmente la discesa giunge al termine. Si ricomincia a salire e ci imbattiamo subito in un bel muro al 12% di pendenza. “Bella la tripla!”, mi dice un simpatico ciclista con la lingua a penzoloni. Gli rispondo con un sorriso. “Sì”, penso tra me. “Ma bisogna anche saperla usare…”. Tengo stabilmente e con umiltà uno strategico 30-21 e riesco a salire comodo a 11-13 km/h, zigzagando tra ciclisti estenuati che si ostinano a montare rapporti da “professionisti”. Ricomincio a sorpassare molti di coloro che mi avevano superato in discesa, tra cui anche un corridore aronese con la sua maglia rossa e blù sponsorizzata Tartaggia. Scoprirò alla fine che è un certo Bruno Ferrari (categoria veterani1), che aveva partecipato nel 2000 alla Caltignaga-Quarna, la mia migliore gara dell’anno scorso. Questo via vai di sorpassi e risorpassi sarà il leit motiv di tutta la prima parte della mia gara, come di consueto. Purtroppo non diventerò mai un discesista e molto del fieno che metto in cascina nelle salite continuerò a perderlo inevitabilmente in discesa. Ma è inutile recriminare. Arrivato finalmente in cima alla salita della Volastra che porta a San Bernardino (370 m di dislivello in 5 km, pendenza media del 7,4%), faccio un primo bilancio della gara: non mi sembra di andar tanto male. E’ certo però che questa salita di San Bernardino (che nel settembre scorso avevo percorso in discesa in senso opposto) in alcuni punti è davvero ripida, rompe il ritmo. Ma quello che più mi infastidisce è il percorso sinuoso in moderata pendenza che successivamente porta al Passo del Termine (circa 3 km con un dislivello di 80 m, una pendenza media del 2,9%). La strada corre a precipizio sul mare e le raffiche di vento continuano ad imperversare. L’asfalto è spesso ricoperto di ghiaietta e sabbia che sembrano far paura solo a me: così freno anche nei falsopiani e ad ogni curva. Decine di corridori mi raggiungono nuovamente, tra cui anche il solito aronese. Tutto ciò è abbastanza frustrante… L’unica gioia è guardare giù lo splendido panorama di Monterosso nei punti del percorso meno rischiosi. A ciò si aggiunge la pena della lunga discesa verso Levanto, con curve pericolosissime e frequenti cadute: poco prima del mio passaggio un ciclista esce di strada e finisce in un torrentello. Ormai non conto nemmeno più tutti quelli che mi superano.
Dopo Levanto la strada riprende a salire (salita di Montale). Si tratta di un nuovo tratto di percorso inserito dagli organizzatori a partire dal 1999 (5 km, dislivello 290 m, pendenza media del 5,4%). E’ l’occasione buona per recuperare un po’. Tengo un bel 40-21/23/26 a seconda delle pendenze e riprendo diverse decine di corridori, tra cui l’immancabile aronese. Il percorso lungo e quello corto a questo punto si separano. Giungo solo in vetta e imbocco la lunga galleria (buia e piena di buchi). Sto per un po’ con un gruppetto che raggiungo di slancio, poi accelero e li distacco. Ma a loro volta mi sorpassano subito nella discesa tormentata dalle raffiche di vento che dal mare si spinge verso l’entroterra. Cerco però di non perdere di vista i fuggitivi e prima della salita del Bracchetto li ho quasi ripresi. Reinnesto la quarta. Supero di nuovo il piccolo gruppetto e poi diversi altri corridori isolati, lasciandomeli notevolmente alle spalle. Quando arrivo allo scollinamento posso persino permettermi il lusso di una piccola sosta solitaria al rifornimento. Riparto e sulla discesa un po’ alla volta mi risorpassano alcuni volti ormai noti fino alla noia tra cui anche quello dell’aronese Ferrari, che mi incoraggia a modo suo: “Dai che il più è fatto!”. E fila via come un fulmine a 50 all’ora lasciandomi lì come un salame… La cosa proprio non mi va giù. Forse sarà anche per colpa della maglia rossa del GC Aronese, ma improvvisamente mi sento caricato come un toro e, approfittando del fatto che il vento è un po’ calato, comincio a spingere sui pedali persino in discesa. Vedo davanti a me ad un centinaio di metri di distanza il conterraneo aronese, che ha raggiunto un gruppetto di una ventina di corridori, e lo sistemo nel mio mirino. Pedalo ad oltre 40 km/h sui rettilinei e a Borghetto finalmente li raggiungo. A questo punto proseguiamo insieme; per un po’ il lavoro di squadra funziona egregiamente, con cambi regolari, filando sempre sui 35-38 km/h. Raggiungiamo tanti corridori isolati ed altri gruppetti. Così a poco a poco il nostro gruppo si fa numeroso: saremo ormai in una cinquantina. La velocità però cala troppo per i miei gusti, complice anche un manto stradale che sembra un groviera. Ora che le discese pericolose sono finite scalpito e ritrovo il gusto della velocità. Mi ricordo con precisione questi luoghi, che nel settembre 2000 ho percorso in senso contrario. Mi rammento anche che tra breve la strada riprenderà a salire e gioco in contropiede. Decido di andarmene già in pianura ed accelero a 40 km/h all’inseguimento di un mastodontico ciclista (il suo manubrio arriva quasi all’altezza della mia testa) che aveva lasciato il gruppo poco prima di me. Nessuno ci insegue. Anche l’aronese Ferrari, ormai, non lo vedrò più se non dopo il traguardo. Tengo bene sulle pendenze moderate che precedono l’ultima salita, quella di Viseggi, ed distacco anche il gigantesco compagno di fuga: mi compiaccio di andare sulle salite pedalabili ancora alla bella velocità di 20 km/h, come all’inizio della corsa. Supero tre o quattro concorrenti isolati sulle ultime rampe più ripide affrontate a 12-14 km/h e poi mi butto a capofitto verso La Spezia.
Finalmente! Queste sono le discese che piacciono a me! Tornanti ogni cento metri, discese democratiche dove anche i più spericolati non possono prendere troppa velocità e curvare a più di 10-15 km all’ora. Solo un paio di corridori mi sorpassano prima dell’imbocco del lungomare ed arrivo finalmente al traguardo con un bello sprint solitario. Anch’io, come Brunetti e Viganò due anni fa, assaporo il piacere di concludere il percorso corto della Gran Fondo qualche minuto prima del vincitore del percorso lungo: oggi il leader assoluto è Tiziano Benedetti (il vincitore della Briga Novarese-Mottarone dello scorso anno: proprio lui, forse la mia presenza gli porta fortuna!). Benedetti, della Galmod Biciclette, ha pedalato i 123 km del percorso lungo (2.400 m di dislivello) all’incredibile media di 38,7 km/h, precedendo Andrea Paluan della Mobili Nota e Davide Montanari della Nuova Corti.
Raggiungo lo stand dell’organizzazione dove sono appese le prime classifiche provvisorie e mi rendo conto che prima di me sono arrivati almeno già 300 corridori e una trentina di veterani2, la mia categoria. Il mio nome ancora non c’è. “Però, credevo di essere andato meglio – penso tra me – ma forse la classifica completa mi renderà più giustizia”. Attendo invano per quasi un’ora l’arrivo dei nuovi dati, poi mi stufo e me ne torno a Portovenere. Questi campioni tecnologici della Winning Time non sono poi così efficienti. La Speed Pass Pretelli l’anno scorso dopo pochi minuti già consegnava il diploma personale della corsa con tempo e posizione…
Mi consolo con una bella mangiata di pesce con la famiglia: una cena pantagruelica. Poi il giorno dopo si torna a casa. Prima di lasciare La Spezia, però, ripasso al Centro Allende, ormai deserto, dove sono malinconicamente appesi i fogli svolazzanti delle classifiche. Leggo: “Classifica definitiva del percorso corto”. Cerco il mio nome: sono 452° assoluto su 560 corridori, 38° veterani2 su 47 arrivati, in 3 ore 22 minuti e 22 secondi, media 25,8 km/h. “Mamma mia, che crollo rispetto all’anno scorso! L’inverno mi ha proprio intorpidito”. Rimugino su questa caduta di forma per tutto il viaggio di ritorno mentre Flavia e Giulia dormono beate sul sedile posteriore dell’auto. “Eppure la media oraria non era poi così brutta. D’accordo, in partenza l’alto pettorale mi aveva penalizzato di un bel po’ di minuti. Infatti, il mio contachilometri segnava all’arrivo un tempo totale di 3 ore e 15 minuti (e non 3 ore e 22 primi come indicato dalla classifica ufficiale), ma questo non basta per spiegare un posizionamento così modesto. Forse grazie al clima più mite i ciclisti liguri e toscani a questo punto della stagione sono molto più allenati di noi piemontesi o forse le gare da noi sono meno dure. Chissà…
Ma non mi dò per vinto. Così il martedì mattina, prima di ritornare al lavoro a Milano, mi alzo alle 6.30 e dopo una veloce colazione punto deciso con la mia bici in direzione della Colma. Imbocco la salita di Brolo a 24 km/h e tiro rabbiosamente fino all’attacco di Arola con ritmo forsennato. Supero il muro che precede la curva del ristorante “La Zucca” a 12 km/h e, nonostante l’acido lattico della gara di due giorni fa ancora nelle gambe, arrivo alla Colma lanciatissimo in poco meno di 49 minuti: il mio quarto miglior tempo di sempre, il migliore di quest’anno. “Dunque non sono poi così tanto scaduto di livello!”.
Arrivo a Milano, accendo il computer dell’ufficio, mi collego via Internet e capisco tutto. La classifica finale della Winning Time che avevo letto sui fogli abbandonati della bacheca di La Spezia non era quella completa (d’altronde l’altroieri era o non era il pesce d’aprile?). Nel percorso corto dietro di me sono in realtà arrivati la bellezza di altri 310 corridori e i numeri finali mi danno 37° veterani2 su 78 arrivati. Dunque, una gara non ingloriosa per essere all’inizio di stagione. “Mi pareva bene che in discesa non mi avevano raggiunto tutti quelli che avevo sorpassato in salita…”. 

Marco Fortis